E allora, per scacciare la noia e riaccendere gli entusiasmi, quest’anno ho deciso di iniziare la prima lezione di geografia parlando di vacanze. Del resto, mi sono detta, perchè non sognare ancora un po’? In fondo il passaggio dalla libertà al lavoro è stato troppo repentino, almeno per me. Solo i passeggeri dell’InterCity notte 794 mi possono comprendere: ci si addormenta al sud, con la pelle ancora profumata di salsedine e negli occhi i colori cangianti del mare, per ritrovarsi, il mattino seguente, nelle grigie e caotiche stazioni del Nord con valigie stracolme, complici i vassoi di amaretti, biscotti e cornetti portati con sé per condividerli con chi è rimasto a casa; disperati tentativi di consolarsi nei primi giorni, per resistere, almeno fino al prossimo viaggio.
Ma torniamo al presente, ai ragazzi, ai loro (e nostri ) sbadigli. In II E a giugno avevo invitato la classe a tenere un diario delle vacanze, a descrivere i luoghi visitati dal punto di vista naturalistico e storico-culturale, senza tralasciare gli aspetti gastronomici e le tradizioni, le curiosità, le esperienze e le emozioni vissute, ma non ho scritto nulla sul registro, perchè non volevo fosse vissuto come un obbligo. Tanto più grande è stato il mio stupore nell’apprendere che tutti avevano svolto l’attività e perciò ho deciso di proporla, a mo’ di tema, anche in II F, dove lo scorso anno insegnavo solo italiano, per dare loro un esempio concreto dell’interdisciplinarità dei saperi. Anche in questo caso il compito è stato eseguito con impegno e serietà, soprattutto dai meno zelanti, che si sono rivelati, a sorpresa, i più entusiasti, i più desiderosi di “essere letti”; forse perchè, chiamati a raccontare momenti di vita privata attraverso un’attività didattica, si sono sentiti interpellati e valorizzati. Tutti abbiamo bisogno di essere riconosciuti e guardati dagli altri e chi ha figli ricorderà, tra le classiche domande infantili, quei pressanti “mamma mi guardi, mi vedi, dai guardami!”: null’altro che urgenti richieste di attenzione, da accogliere prontamente, perchè quando qualcuno ci fa sentire importanti, ci aiuta a scoprire risorse di cui spesso siamo ignari, rendendoci capaci di compiere piccoli miracoli.
Convinta di ciò, ho deciso di tentare la stessa via anche in prima, con i più piccoli, dove ancora una volta in parecchi mi hanno chiesto di leggere in classe i propri elaborati.
Finora non sono riuscita ad accontentarli tutti, ma ho portato a casa i diari, per visionarli con l’attenzione che meritano e poterne poi commentare alcune parti a scuola in corso d’anno: penso potrebbe essere un buon modo per darsi il “buongiorno” ogni mattina, per continuare a viaggiare ravvivando l’autunno e l’inverno, smorti, pallidi e sempre troppo lunghi, con qualche favilla di luce estiva.
Durante la lettura, a casa, trasportata dalle loro parole, talvolta ho l’impressione di partire io stessa per un nuovo viaggio: è un percorso intermittente e discontinuo, tra la gimkana dei piatti da lavare e delle camicie da stirare. Iniziato in punta di piedi e del tutto “in solitaria”, si è trasformato ben presto in “viaggio di gruppo” e la lettura è diventata per i miei familiari un appuntamento fisso: a colazione, tra un morso di torta e un sorso di latte; in macchina, tra uno spostamento e l’altro…Il libro di fiabe della buona notte sonnecchia ormai da giorni sulla mensola, soppiantato dai racconti dei piccoli scrittori e dalle loro coinvolgenti avventure.
—Mamma, ci leggi “il diario del mostro di Lockness”?-
Domandano le mie figlie, alludendo al viaggio in Scozia di Arianna. Con lei visitiamo Stirling, l’antica capitale, e lo storico castello della famiglia Stuart, sullo spuntone di un vulcano spento; ci sembra quasi di vederla, dall’alto del National Wallace Monument. Ci inoltriamo nel cuore delle Highlands, costeggiando il lago di Lockness, tra muschi e licheni, e il Loch Affrich, circondato da felci e pini; da Ullapool raggiungiamo Stornoway, nell’isola di Lewis, dove il paesaggio si fa quasi alpino, con prati e rocce come in alta montagna; ci immergiamo nell’atmosfera rarefatta di Callanish, con lo spettacolare “Callanish Standing Stone”, “un cerchio di pietra simile a Stonehenge che mi ha molto colpito”, racconta Arianna, “come anche i due cuccioli di foca avvistati durante un’escursione, curiosi e per nulla intimiditi dalla nostra presenza”. E prima di tornare a casa, non può mancare la visita a Edimburgo e al suo celebre castello, da cui si dipana la Royal Mile, storica via della città vecchia. Personalmente ignoravo che, parallela ad essa, corresse “Victoria Street”, a cui la Rowling si ispirò per descrivere la via dello shopping dei maghi, Diagon Alley, nel primo volume di “Harry Potter”.
-Quicè possibile visitare la Diagon House, vero e proprio negozio di magia in stile potteriano!- Scrive l’autrice, con somma gioia di mia figlia, che subito, ignara delle distanze, reclama una visita, “magari il prossimo weekend, mamma”. -Col teletrasporto-ironizzo io. -E se ci comprassimo anche noi una “Nimbus 2000”, la più veloce delle scope volanti?- Suggerisce lei.
Il resoconto scozzese di Arianna è anche una sinfonia di gusti e sapori: ha assaggiato di tutto, dai grandi “classici” (fish and chips, porridge, uova con il bacon), fino ai prodotti più particolari ed estranei ai nostri gusti (le aringhe affumicate, il formaggio Blu Stilton e l’haggis, un insaccato a base di interiora di pecora). Una viaggiatrice capace di mettersi in gioco, la nostra reporter, sia per i cibi assaggiati sia per i difficili trekking affrontati, descritti con dovizia di particolari: ho apprezzato anche questo della sua narrazione.
Mio marito, invece, si è “innamorato” del diario di Salvatore, con la sua poetica descrizione del maestrale che soffia impetuoso spazzando le coste selvagge di…
(fine seconda parte)
Livia Archinà