E’ tempo di interrompersi per preparare la cena, ma lo sguardo si sofferma su un altro diario di viaggio, il cui titolo segna irrevocabilmente le sorti della serata: ”Le mie vacanze a Siderno”.
Ecco, ora so che digiuneremo, forse si scatenerà una lite familiare, ma è impossibile resistere al richiamo delle radici.
Il viaggio di Anna si dipana, da nord a sud, con alcune tappe intermedie all’insegna della cultura e della buona tavola: a Scandicci (Firenze), per un pranzo a base di ragù di chianina, finocchiona e crudo toscano; a Napoli, per una passeggiata tra piazza del Plebiscito e i Quartieri Spagnoli, con una sosta alla storica trattoria “Da Nennella” per gustare la celebre pasta “patate e provola”.
Il mattino seguente si riparte di buon’ora per arrivare finalmente a Siderno, dove alcuni amici, calabresi trapiantati al Nord, ospiteranno la piccola scrittrice e la sua famiglia accompagnandoli alla scoperta di una terra dalle molte anime.
Il “battesimo” nel mar Jonio avviene presso la spiaggia “Il Naufrago”, lungo il percorso ciclabile tra Locri e Siderno.
-Il lido è sabbioso e il mare, azzurrissimo, si fa sempre più scuro via via che ci si allontana dalla riva, mentre il fondale, da pietroso, va ricoprendosi di sabbia finissima- racconta
-Abbiamo affittato un pedalò, divertendoci un mondo; e a pranzo, affamata, ho mangiato due panini prosciutto e provola- continua.
Le corse sulla spiaggia e le nuotate si susseguono tra la Pineta di Locri, la scogliera di Africo, le spiagge di Roccella Jonica e di Bianco. Ma il bagno più emozionante lo ha fatto a Riace Marina, lungo quelle stesse coste in cui, cinquant’anni fa, una folla di bagnanti celebrò “la scoperta archeologica sottomarina del secolo”.
-Mi sono tornate alla memoria le foto del ritrovamento dei bronzi proiettate a scuola, ed è stato un po’ come riandare indietro nel tempo…Mi immaginavo di essere lì, tra coloro che, per primi, li videro emergere dalle acque- scrive. Proprio davanti a quel luogo, detto “lo Scoglio dei Santi”, ogni settembre i pellegrini riacesi, in occasione della festa patronale, concludono la processione con le reliquie di Cosma e Damiano, i santi medici protettori del borgo. Forse per questo fu immediato e spontaneo l’accostamento dei due “giganti del mare” ai fratelli taumaturghi, unito a una certa iniziale ritrosia dei vecchi della zona al recupero delle statue, vissuto come una profanazione di un luogo sacro. Nome famoso, quello della cittadina, borgo di santi e di straordinari ritrovamenti, che negli ultimi anni (e giorni) è tornato a far parlare di sé, affermandosi nel mondo come modello (per quanto discusso) di integrazione.
Ed è proprio a Riace Superiore, dopo una mattinata in spiaggia, che si è spinta la piccola turista, per visitarne il centro storico e quel che resta del “Villaggio globale”, il sistema che ha accolto e integrato, dal 2004 al 2018, più di 6000 migranti, ripopolando il paese svuotato dalla massiccia, secolare emigrazione. A guidarli alla scoperta di questa realtà è stato l’ex sindaco in persona, incontrato per caso lungo le vie del centro e lieto di poter mostrare le attività ancora in piedi dopo il blocco dei finanziamenti e le vicissitudini giudiziarie (di pochi giorni fa la sentenza della Corte d’appello risoltasi a suo favore).
-Abbiamo visitato laboratori di ricami, di vestiti e perfino di aquiloni; ho conosciuto persone di lingue ed etnie diverse, e mi ha colpito come, accanto a queste, lavorassero serenamente gli abitanti del borgo, in maniera del tutto naturale- scrive.
Dopo la battuta d’arresto del 2019, il borgo è andato lentamente ripopolandosi in seguito all’apertura di nuovi cordoni umanitari verso Kabul e, pur non potendo più contare sulle sovvenzioni statali, le attività proseguono grazie alle donazioni: hanno così riaperto l’ambulatorio medico, l’asilo e la mensa sociale. Ma a colpire Anna è in particolare il laboratorio di quadri, dove lavorano, l’una accanto all’altra, una riacese e una pittrice afghana, ex insegnante all’università di Herat. Le sue tele ritraggono soprattutto donne: volti esotici del paese natio, abbandonato in seguito all’ennesimo attacco talebano, accanto a figure della tradizione locale; donne afghane che danzano o suonano, accanto a “paesane” che tessono al telaio o attingono l’acqua, esempio fruttuoso di uno scambio culturale in cui le rispettive identità, lungi dallo smarrirsi, si rafforzano lavorando in sinergia.
La serata si conclude nel vicino borgo di Stignano, per gustare “le zeppole e la pasta con le melanzane ripiene, le polpette al sugo e il caciocavallo di Ciminà”, ballando la tarantella “fino alle due del mattino”.
Personalità curiosa e poliedrica, Anna alterna l’amore per la buona tavola a quello per lo sport. Si cimenta in un percorso naturalistico aspromontano, “La scialata” (San Giovanni di Gerace), costeggiando a ritroso il torrente Levadìo per due ore e mezza e immergendosi in una natura incontaminata e selvaggia: -Sembrava di essere nella giungla: abbiamo camminato tra fitti boschi e radure alberate, enormi massi granitici e faggi secolari, tra lo scrosciare impetuoso dell’acqua-
Ma il suo primo amore resta il mare. Si è immersa un po’ a tutte le ore del giorno: sotto il solleone, alla brezza del tramonto…Ha perfino sfidato il sonno, svegliandosi alle cinque del mattino “per vivere un’esperienza unica e suggestiva”…
(fine quarto episodio)
Livia Archinà