R. e P.
La domanda che ci dobbiamo porre è la seguente: nei molti divari che sono tornati a separare la società meridionale dai livelli economici,sociali,culturali raggiunti in questi anni dall’Italia del Nord,la scuola c’entra qualcosa?Esiste una questione meridionale e se sì, quali sono i suoi tratti distintivi?
E in quali termini si presenta la questione scolastica nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia?
Se il grande analfabetismo di massa, il mero saper leggere scrivere e far di conto è stato sconfitto si può ignorare il fatto che da Napoli in giù i tassi di abbandono scolastico, di evasione dell’obbligo, sono tra i più elevati?
Si può ignorare che in Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna più della metà degli studenti sono ad un livello inferiore a quello richiesto dalle indicazioni nazionali e si registrano, cosa ancora più inquietante, differenze fortissime tra scuola e scuola?
Si può ignorare che da queste parti quasi il 50% degli studenti è al di sotto della sufficienza in italiano, mentre in matematica si arriva addirittura al 56%, e di fronte a questi dati non è sufficiente, né corretto, né morale prendersela con le rilevazioni Invalsi. E non da ora. Come non da ora il Sud è più arretrato del Nord in termini di economia, lavoro, occupazione, ma pure di dispersioni, edilizia scolastica, strutture, compreso un surplus di docenti a cui è negata la cattedra?
Si dice che lo sviluppo del Paese dipende dallo sviluppo del Sud, ma nessuno si prende la briga di trovare risoluzioni a questa disparità di formazione e di preparazione tra i ragazzi al di qua e al di là della “linea gotica” mentre decenni di riforme hanno distrutto la scuola.
Sicuramente la crisi economica, che ha invaso gli ultimi lustri, sta portando i nodi al pettine e dove la povertà è più densa lo scarso rendimento scolastico è più intenso, e non c’è bisogno di essere sociologi per affermarlo, mentre la riprova è data dall’altro dato dell’Invalsi e cioè che al Sud ci sono pure differenze tra scuole e scuole, tra quelle delle zone residenziali e quelle altre delle periferia.
Campania, Calabria, Sicilia ,Puglia e Molise occupano i primi cinque posti della triste classifica della povertà educativa in Italia.Regioni in cui bambini e ragazzi sono maggiormente privati delle opportunità necessarie per apprendere,sperimentare e coltivare le proprie capacità per superare ostacoli e condizioni di svantaggio iniziali.
Quasi 9 bambini su 10(87%) ,inoltre, non vanno all’asilo nido o non frequentano servizi per la prima infanzia ,percentuali che si avvicinano drammaticamente al 100% in Calabria e Campania dove solo rispettivamente l’1,2% e il 2,6% dei bambini può accedere a questi servizi.
Questo è quanto emerge dall’indice di povertà educativa 2018 di Save the Children per le regioni meridionali contrariamente a quelle del Nord Italia.
Non sembra esserci soluzioni a portata di mano per pareggiare i conti col Nord e dunque per arrivare a un’equa spartizione di risultati, ma questi numeri , e non solo questi, avrebbero dovuto da tempo mettere in allarme, serio, innanzitutto i governatori e le loro giunte Regionali, subito dopo il Ministero dell’Istruzione e quindi i Governi che in questi anni si sono avvicendati nelle varie colorazioni politiche.
Ed invece lo smantellamento progressivo dell’istruzione pubblica rischia di farle perdere il suo carattere nazionale nell’indifferenza generale. La regionalizzazione sta compiendo a piccoli passi il suo percorso che porterà a cambiamenti sostanziali .
Per capire la posta in gioco basta analizzare gli effetti di una simile manovra sulla scuola. Non avremmo più un unico sistema nazionale di istruzione, ma tanti sistemi regionali quante sono le Regioni con autonomia differenziata .I soldi di cui ogni amministrazione scolastica disporrebbe verrebbero determinati in rapporto al reddito pro capite della regione di appartenenza e precisamente le Regioni del Nord adottando la nuova autonomia godrebbero mediamente di una ricchezza doppia rispetto alle regioni meridionali come doppio è mediamente il PIL, Nord 32%, Sud 17% (dati Istat2017).
L’autonomia differenziata sancirà gli squilibri che già esistono e li renderà definitivi e insuperabili. Il gap di servizi, nella scuola, nella sanità, negli asili, nella dotazione di verde, di parchi, di attrezzature sportive, di risorse di sostegno all’apparato produttivo, etc., diventerà “legittimo”, un privilegio etnico-territoriale immodificabile. Insomma chi, all’interno della stessa nazione, abita in territori particolari e benestanti ha più diritti di chi invece ha avuto la ventura di abitare in territori disgraziati.
C’era una volta una Paese dove la scuola era pubblica e le finalità, gli obiettivi li decideva lo Stato, nell’interesse di tutti ,non del mercato. Quella scuola non c’è più. Certa politica non ha cambiato verso alla scuola pubblica.
L’ha semplicemente piegata,immiserita.
Il Mezzogiorno ha bisogno sul piano sociale,oltre che economico,di eserciti di maestri e professori. Di buon scuole e buone università. Di baluardi della conoscenza che siano, al di là di tutto il resto, il simbolo della presenza dello stato unitario sul territorio. Alla nostra classe politica e amministratrice l’arduo compito di invertire la rotta.
Guido Leone
già Dirigente tecnico USR Calabria
Reggio Calabria 20/9/2019