R. e P.
Nei primi giorni dell’anno 1917, mentre infieriva il primo conflitto mondiale, sorse in Cortona l’idea di erigere nel bel tempio di S. Margherita, Patrona della Città e del Comune, una Cappella Votiva per implorare da Dio la vittoria e per ricordare in essa e suffragare perennemente i generosi Cortonesi, caduti vittime del dovere sul campo di battaglia.
La decorazione pittorica fu affidata per le figure al valente affreschista Osvaldo Bignami di Milano e per la decorazione ornamentale ad Alceste Innocenti di Firenze. L’opera principale è il grande affresco che occupa quasi interamente la parete sopra l’altare nel quale è raffigurata S. Margherita, orante genuflessa in mezzo a gruppi di soldati e di gente del popolo in atto supplichevole, ai quali appare in visione Gesù Crocifisso che mostra di accogliere benignamente le preghiere, e staccata la destra dalla Croce è in atto di benedire i supplicanti, la città e la sottostante campagna, magistralmente riprodotte nello sfondo del quadro con la
veduta della Val di Chiana e del lago Trasimeno. I personaggi ritratti sono militari e gente della popolazione ripresi dal pittore attraverso fotografie e dal vero. Lo stesso Bignami ha ritratto se stesso fra i personaggi dell’affresco. La composizione è di effetto veramente suggestivo per l’armonia che presenta fra la spiritualità e la verità delle figure, sia negli atteggiamenti che nel sentimento in essa espressi, e per la buona disposizione della luce e dei colori.
Fr. Livio Crisci
Rettore del Santuario di S. Margherita in Cortona
Cento anni fa finiva la Prima Guerra “Mondiale” della storia, come la si volle chiamare per differenziarla dalle altre, a motivo della sua natura “globale” e “totale”. Il 4 novembre 1918, alle ore 15, tutte le operazioni belliche cessarono e Armando Diaz emanò un bollettino che celebrava, non senza retorica, la vittoria su “uno dei più potenti eserciti del mondo”.
Il proclama della Vittoria conobbe da subito una grande popolarità: il suo testo, fuso nel bronzo delle artiglierie catturate al nemico, venne esposto in tutte le caserme d’Italia, e venne poi immortalato sui monumenti, sulle facciate dei municipi, nelle scuole, e letto, insegnato e imparato a memoria da generazioni di italiani.
In realtà la Grande Guerra ha un peso straordinario nella storia nazionale; un rilievo dovuto soprattutto alle trasformazioni che comportò sul piano economico, politico e sociale, non solo su quello degli aspetti territoriali.
Fu innanzitutto un’importante prova di coesione nazionale. Cementò il carattere degli italiani. Fece loro parlare per la prima volta un linguaggio comune, incontrando nelle trincee difficoltà linguistiche dovute ad un’unità presente solo sulla carta, ma non reale.
In quella grande esperienza collettiva tutti sono, a vario titolo, coinvolti e tutte le energie – economiche, sociali ed intellettuali – sono mobilitate per sostenerne il peso. Non solo i combattenti, dunque, sono chiamati a dare il loro contributo: le donne vanno a sostituire, in tutti i settori lavorativi, i reclutati; i giovani sono impegnati in diverse attività di supporto allo Stato belligerante.
La complessiva mobilitazione della società è raggiunta facendo ricorso alle “armi” della propaganda, in modo massiccio, mentre l’educazione al patriottismo nazionale viene estesa a tutti i livelli sociali attraverso un proselitismo capillare. Istituzioni e mass media dell’epoca sono mobilitati per divulgare le “ragioni” della guerra, soprattutto dopo la disfatta di Caporetto. Ma anche in occasione della più grande sconfitta subita dal suo esercito, peraltro imputabile a moltissimi fattori, l’Italia seppe tuttavia risorgere, riscoprire la parte migliore di sé. Dopo Caporetto, lo spirito nazionale si risollevò. Le armate italiane ci portarono, in una completa vittoria, sino a Vittorio Veneto, liberando Trento, giungendo a Trieste.
Non sorprende che da questa gigantesca prova, definita per le fortissime perdite di vite umane “inutile strage” dal Pontefice Benedetto XV, siano scaturite un’Italia e un’Europa completamente diverse. Un’Europa ormai unita – anche se non mancano segni di crisi – in cui l’Italia svolge una funzione fondamentale sotto il profilo politico- economico.
In tale, nuova prospettiva, come celebrare una vittoria ormai lontana e legata ad eventi definitivamente superati dalla storia?
Nel 1967, l’allora Amministrazione delle Poste e delle Telecomunicazioni emise un valore per commemorare la resistenza sul Piave, mentre il ricordo filatelico del cinquantenario della Vittoria, nel 1968, venne affidato a un’originale serie di sei valori illustrata da scene di battaglie.
Nel 2015, poi, è uscito un foglietto, pure caratterizzato da scene di guerra per commemorare il centenario della nostra entrata nel conflitto.
La celebrazione del centenario della fine della Prima Guerra Mondiale e della conseguente Vittoria è caratterizzata, invece da un’emissione non più illustrata da scene di battaglia o da figure “eroiche” ma da soggetti per così dire “pacificati”: da soldati feriti, ma pronti a riprendere il loro posto nella società, dalle madri di famiglia che, come sopra già espresso, portarono anch’esse il peso della guerra, da giovani temprati dal sacrificio e determinati a crearsi un avvenire: in una parola dalle varie componenti del popolo italiano coinvolto nella Grande Guerra.
Roberto Saccarello
Esperto di storia contemporanea