Di Giovanni Padalino
Il 19 luglio del 1992, in via D’Amelio a Palermo veniva ucciso il magistrato Paolo Borsellino insieme alla sua scorta.
A perdere la vita oltre allo stimato giudice furono cinque agenti: Agostino Catalano, Walter Elodie Corona e Claudio Traina.
Da quel lontano giorno sono passati ben trentadue anni e Salvatore Borsellino, fratello del giudice, non ha mai smesso di cercare la verità per quello che è successo.
Dottor Borsellino sono passati ben trentadue anni da quell’attentato dove ha perso la vita suo fratello insieme alla propria scorta.
Quali sono i suoi ricordi?
Ero a casa mia, ad Arese, città che avevo raggiunto già dal 69, lavoravo in un’azienda di informatica e nonostante fosse domenica stavo lavorando su uno dei primi computer arrivai in Italia, quando. dal piano superiore, mi chiamò mia moglie” vieni, stanno dicendo alla televisione che c’è stato un attentato a Palermo”.
Erano passati 57 giorni dalla morte di Giovanni Falcone e in quel momento capii subito che quell’attentato riguardava mio fratello.
Avevo sentito Paolo al telefono qualche giorno prima, il venerdì e gli avevo chiesto di trasferirsi da Palermo, ma sapevo bene che non l’avrebbe mai fatto perché amava troppo la propria terra e sarebbe rimasto in prima linea a combattere le ingiustizie.
Secondo lei suo fratello ha mai avuto paura per il lavoro che faceva?
È una domanda che è stata fatta spesso anche al suo collega Giovanni Falcone, ed entrambi rispondevano allo stesso modo:” certo che ci può essere la paura, l’importante che ci sia il coraggio, perché grazie a questo si riesce a superare la paura”.
Sono del parere se oggi uno non ha paura, non può fare il magistrato.
Quali sono i ricordi della sua infanzia e della sua famiglia?
Siamo cresciuti in una famiglia modesta e abbiamo studiato grazie a delle borse di studio.
Ho un ricordo stupendo di mia madre Maria Pia Lepanto, una donna straordinaria, è stata proprio lei un vero e proprio punto di riferimento per la famiglia, molto attenta per la nostra educazione.
Mio padre purtroppo è morto molto giovane, all’età di cinquantadue anni, fu proprio in quel momento che Paolo, ormai ventenne, dovette accollarsi la responsabilità di tutti noi.
Nonostante tanto tempo da quel giorno dell’attentato, oggi non c’è una verità sui fatti.
Cosa ne pensa di tutto questo?
Purtroppo, a più di trenta anno di distanza, non c’è ancora ne Giustizia ne Verità e i primi processi sono stati depistati.
Esisteva un agenda rossa che Paolo aveva sempre con sé, che è scomparsa proprio durante l’attentato, questo poteva essere un indizio importante, perché è qui che mio fratello scriveva tutto.
Oggi si può combattere la mafia?
Assolutamente si!
Credo che sia un dovere di ogni singolo cittadino.
Attualmente si sente parlare molto poco di mafia, perché è diventata più silente, spesso appartiene a chi ha il colletto bianco, la mafia ha imparato ad insinuarsi e a mimetizzarsi nella pubblica amministrazione.
Bisogna promuovere un cambio generazionale, affiancato da leggi giuste, e poi è necessario che tutti i cittadini facciano la propria parte.