Gli inquirenti l’hanno definito come un vorticoso giro di denaro, che si stima s’aggiri intorno a quasi cento milioni di euro; un mare di soldi che si ritiene legati però ad altrettanto imponenti traffici illeciti di rifiuti e transitati sui conti di società italiane ed estere, tedesche e ungheresi per la precisione, per poi essere “ripulito” e reinvestito in altre attività, prevalentemente illegali.

Gli inquirenti sostengono che di questo denaro, oltre 65 milioni di euro, dopo essere stati bonificati sui conti di una società tedesca, sarebbero stati per la gran parte e nell’arco di soli due anniprelevati in contanti dagli stessi conti con diverse operazioni, alcune anche per importi da un milione di euro, e reimmessi in circuiti economici perlopiù illeciti.

C’è questo ed altro nell’inchiesta “Black Steel” che stamani ha portato all’esecuzione di numerosi arresti e sequestri in Lombardia, PiemonteCalabria e Germania.

Un’operazione che è stata condotta dai carabinieri del Gruppo per la Tutela Ambientale e la Transizione Ecologica di Milano, con il supporto di militari dei comandi provinciali rispettivamente competenti, del personale dell’Europol e della polizia tedesca (la BKA), nell’ambito di un “Action Day” concordato tramite canali di cooperazione internazionale (Eurojust).

Un blitz che su ordine del Gip di Milano ha portato all’arresto di 14 persone, sei finite in carcere e otto ai domiciliari, mentre altre quattro sono state sottoposte all’obbligo di dimora presso il comune di residenza.

Le accuse contestate sono di associazione per delinquere per il traffico illecito di rifiuti (rifiuti speciali costituiti da rottami ferrosi ed altri speciali anche pericolosi), di auto-riciclaggioriciclaggiodichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false ed emissione di fatture per operazioni inesistenti.

Tutto parte dalle indagini condotte dal Noe, il Nucleo Operativo Ecologico dei Carabinieri di Milano, e coordinate dalla Dda del capoluogo lombardo.

IL “CUORE” LOCRESE

Indagini che sono state supportate anche da intercettazioni telefoniche e ambientali, servizi di osservazione, controllo e pedinamento, e che fanno ritenere di aver raccolto dei gravi indizi sulla presunta esistenza di un’associazione il cui promotore sarebbe un 56enne originario di Locri, nel reggino, titolare di imprese che operano in Italia e all’estero attraverso un’azienda di recuperotrattamento e commercio di metalli ferrosi con sede legale a Milano e sedi operative a Cressa (NO), Paderno Dugnano (MI) e Dairago (MI), ed una società a Torino.

Se quanto ricostruito dagli investigatori l’uomo avrebbe approvvigionato ripetutamente sul territorio nazionale ingenti quantitativi di rifiuti ferrosi “in nero”, per un ammontare di circa 165 mila tonnellate, da altre società operanti nel campo del recupero di rottami o direttamente dal mercato clandestino, si ritiene da soggetti non autorizzati o di provenienza furtiva.

Per poter reimmettere i rifiuti sul mercato legale e rivenderli alle acciaierie, avrebbe fatto risultare falsamente di averli importati dalla Germania, acquistandoli da una società tedesca sempre a lui riconducibile, ma che in realtà sarebbe stata del tutto inoperativa e costituita appositamente, in pratica si sospetta fosse quella che viene definita come una mera società cartiera.

A fronte di fatture false emesse dalla società tedesca, avrebbe così eseguito, tramite bonifici bancari, dei versamenti di consistenti somme di denaro, circa 90 milioni di euro, apparentemente a titolo di corrispettivo per gli acquisti dei rifiuti ferrosi, ma che si ritiene in realtà non siano mai avvenuti.

L’ipotesi è poi che insieme ad altri presunti affiliati avrebbe fatto rientrare in Italia le somme versate, dopo aver effettuato dei prelievi in contanti, anche fino a 900mila euro al giorno, dai conti correnti in Germania o dopo averle “girate” su altri conti riconducibili ad società di logistica ritenute fittizie, anche in altri Paesi, ma riconducibili sempre all’organizzazione.

Infine, riottenuta la disponibilità di quanto bonificato, le somme sarebbero state reimpiegate nel traffico illecito di rifiuti o, una volta “ripulite”, reinvestite in altre attività, tra le quali l’acquisto di una squadra di calcio piemontese che milita in serie C. 

LA TRASFORMAZIONE IN “NON RIFIUTI”

I rifiuti, sia che fossero stati regolarmente acquistati o che fossero stati approvvigionati illegalmente e rimessi sul mercato legale tramite questo sistema, sarebbero stati rivenduti direttamente alle acciaierie/fonderie, o a commercianti di rottami ferrosi, facendo risultare che fossero stati sottoposti a operazioni di recupero in impianti dell’organizzazione che gli avessero fatto perdere la qualifica di rifiuti.

In realtà, secondo quanto emergerebbe dalle indagini, per ridurre ancora notevolmente i costi e massimizzare i profitti illeciti, queste operazioni non sarebbero mai avvenute e i rifiuti sarebbero stati trasformati solo documentalmente in “non rifiuti” (cosiddetti end of waste) attraverso la compilazione fraudolenta di dichiarazioni di conformità fittizie e di Ddt, documenti di trasporto, ritenuti ideologicamente falsi, “emessi da società le quali sugli stessi non avrebbero eseguito alcun trattamento, ma si sarebbero limitate a simularlo”, spiegano gli investigatori.

Allo stesso modo il gruppo si ritiene abbia gestito illecitamente dei considerevoli volumi di rifiuti speciali anche pericolosiclassificandoli fittiziamente per mascherarne la reale natura e, omettendo l’esecuzione delle necessarie operazioni di recupero, li avrebbe avviati illecitamente a discariche o in impianti non autorizzati all’estero.

I RIFIUTI IN “LISTA VERDE”

Nel dettaglio, tra gennaio 2020 e marzo 2021, si stima che circa 6.500 tonnellate di rifiuti provenienti dal trattamento e recupero di cavi impregnati di olio, di catrame di carbone o di altre sostanze pericolose sarebbero stati ritirati da un impianto di trattamento rifiuti situato nel comune di Arcisate (VA) e classificati come “non pericolosi” (cioè come plastica e gomma), senza aver eseguito le analisi prescritte o utilizzando certificati d’analisi falsi, così da farli rientrare nella cosiddetta “Lista Verde”, allo scopo di aggirare la procedura di notifica ed autorizzazione preventive scritte prevista dalle norme e più onerosa dal punto di vista documentale ed economico.

Queste operazioni sarebbero avvenute con l’intermediazione di una società gestita dallo stesso titolare dell’azienda di trattamento e commercio rifiuti ferrosi e non ferrosi e smaltiti illegalmente nell’impianto di un’altra società della Repubblica Ceca non autorizzata a ricevere o trattare rifiuti pericolosi.

LE INDAGINI ALL’ESTERO

Per acquisire le necessarie informazioni sulle società estere e sulle relative movimentazioni bancarie, sotto il coordinamento di Eurojust è stata costituita una Sic, una squadra investigativa comune, con la Procura della Repubblica di Reggio Calabria e la Procura della Repubblica di Monaco.

Le attività investigative sono state svolte anche insieme alla polizia federale tedesca del Bundeskriminalamt (BKA), che ha fornito un determinante contributo alle indagini, oltre che all’esecuzione delle misure cautelari.

Inoltre è stato attivato un canale di cooperazione internazionale di polizia tramite Europol, che ha facilitato lo scambio di informazioni tra le forze di polizia coinvolte e ha preso parte fattivamente all’esecuzione dell’Action Day.

I SEQUESTRI ESEGUITI

I militari del Noe, l’Unità Speciale dell’Arma istituita nel 1986 “per la vigilanza, la prevenzione e la repressione delle violazioni compiute in danno dell’ambiente”, come disposto dal Gip del Tribunale di Milano, su richiesta della Dda locale, hanno così sottoposto a sequestro preventivo, ai fini della confisca, le quote e i beni di due compendi aziendali, materiale informatico tra computer, memorie di massa e telefoni cellulari in uso agli indagati, e conti correnti e beni di proprietà, fino al raggiungimento per equivalente della somma ritenuta il profitto del reato (circa 90 milioni di euro), sia in Italia sia in Germania.

Gli inquirenti hanno evidenziato “a riprova della continuazione di attività illecita”, che alcuni dipendenti (uno dei quali raggiunto dall’obbligo di dimora) dell’azienda milanese che avrebbe operato nel traffico illecito di metalli ferrosi, il 5 gennaio scorso sono stati deferiti dai Carabinieri per furto aggravato in concorso di rifiuti metallici, in particolare di parti di rotaie dismesse derivanti dai lavori di manutenzione per l’ammodernamento della rete ferroviaria di proprietà di RFI, che erano stoccati all’interno di un’area di pertinenza di una Stazione ferroviaria in provincia di Sondrio, in attesa di essere smaltiti come rifiuto.

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