«Siamo sotto choc. Allibiti». Guido Caccia, il figlio del procuratore ucciso, è in stretto contatto con le sorelle Paola e Cristina. Hanno ricevuto una mail dall’avvocato di parte civile, Fabio Repici, in cui viene spiegata sommariamente la situazione. «Il nostro legale condivide il nostro stato d’animo. Non riusciamo a capire come possa essere avvenuto un errore del genere. Certo, chi lavora può anche sbagliare ma proprio adesso… quando era chiaro che le responsabilità del signor Schirripa si andavano delineando udienza dopo udienza e che gli scenari ulteriori cominciavano ad affacciarsi in questo processo che lo vede, con Belfiore già condannato, unico imputato, ma con “altri ignoti”. Noi vogliamo allargare il raggio delle indagini, proprio per risalire a questi “altri”. E il senso del nostro impegno di questi anni, ora rischia di finire tutto nel nulla, e la ricerca della verità nell’oblio. Faremo il possibile perché questo processo non venga distrutto. Vedremo come procedere, di certo è un fatto sconcertante, che getta una strana ombra su una vicenda che solo noi abbiamo cercato di non far finire nel nulla». E la sorella Cristina: «No. Non riesco ancora a crederci, nessuno ci aveva avvisato, siamo senza parole».

IL VIZIO PROCEDURALE

L’avvocato Fabio Repici, che tutela gli interessi della famiglia: «Secondo quanto scrive il pubblico ministero, il procedimento avviato a carico di Rocco Schirripa è affetto da un’irreparabile vizio procedurale compiuto dalla procura della Repubblica di Milano, la cui ferale conseguenza è l’assoluta inutilizzabilità di ogni atto d’indagine e processuale compiuto nei confronti dell’imputato Schirripa. Apprendiamo questa notizia con sconcerto indescrivibile, a distanza di 33 anni dall’omicidio, sta per mandare al macero un procedimento avviato nel 2015 solo a seguito di nostre ripetute denunce, proposte a partire dal 10 luglio 2013; purtroppo anche a causa di questo inconcepibile errore procedurale oggi per l’ennesima volta si perpetua l’oltraggio alla memoria di Bruno Caccia e al desiderio di accertamento integrale di verità e giustizia sul suo assassinio, sulle cause del delitto, sulla rete di cointeressenze che quel delitto hanno determinato e sui depistaggi avvenuti. Il nostro impegno non si interrompe certo qui, proseguirà in coerenza con la dedizione che ci ha accompagnato sino ad oggi».

L’ULTIMA UDIENZA

Le prime perplessità, però, si erano manifestate già in aula, quando il pentito Vincenzo Pavia, in una lunghissima deposizione in cui, oltre a confermare i nomi di Schirripa e di Belfiore, come autori del delitto, aveva allargato la responsabilità ad altre figure istituzionali, rimaste sinora nell’ombra. Lui era stato sentito nel ’96 e aveva pure fatto i nomi, non solo quelli ora noti, ma anche altri. Gli avvocati della difesa, Mauro Anetrini e Basilio Foti, si erano posti il problema del destino di quel fascicolo. La risposta è arrivata ieri, 15 anni dopo l’archiviazione.Nell’ultima udienza, l’avvocato Repici aveva insistito a lungo per allargare il perimetro del processo; aveva chiesto al pluriomicida Placido Barresi, braccio armato di Domenico Belfiore se, nell’83, era socio di un esponente dell’ndrangheta in stretto contatto con alcuni magistrati dell’epoca. Ma Barresi aveva risposto con una serie di no: «Mai visto nessuno, non mi risulta». Con Rocco Schirripa, intento ad ascoltarlo con attenzione. Il 30 novembre Barresi sarebbe dovuto tornare in aula per concludere la sua testimonianza. Lo avrebbero interrogato i difensori. Non sapremo mai il seguito. Forse decisivo per il destino dell’imputato. Rischiava l’ergastolo.

GIUSEPPE LEGATO MASSIMO NUMA
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