La procura di Milano ha chiesto il processo con rito immediato per Rocco Schirripa, ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia, ucciso sotto casa il 26 giugno 1983 in un agguato di ‘ndrangheta. L’istanza, formulata dai pm Marcello Tatangelo e Ilda Boccassini, verrà valutata nelle prossime ore dal gip Stefania Pepe. Schirripa è stato arrestato dalla squadra mobile di Torino lo scorso 22 dicembre nella sua abitazione nel quartiere Parella, dove negli ultimi anni lavorava come panettiere. Per il delitto è già stato condannato all’ergastolo, quale mandante, il boss di Moncalieri Domenico Belfiore, da alcuni mesi ai domiciliari per motivi di salute.

“Quelli di là sotto lo sapevano quasi tutti”. A pronunciare la frase, intercettata dagli investigatori e riportata nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Rocco Schirripa per l’omicidio del procuratore Caccia, sarebbe stato Domenico Belfiore. Nella conversazione l’uomo, scrive il gip di Milano Stefania Pepe, “fa riferimento evidentemente agli esponenti di vertice della ‘ndrangheta che (…) erano stati informati”, nel 1983, della decisione di uccidere il procuratore.

L’omicidio del procuratore di Torino, Bruno Caccia, “è stato senza alcun dubbio commesso dalla criminalità organizzata, un omicidio di matrice mafiosa, deciso da quella che negli anni ’80 era la più importante cosca di ‘ndrangheta operante nel torinese”, quella della famiglia Belfiore. Lo aveva scritto il gip di Milano Stefania Pepe nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere a carico di Rocco Schirripa, uno dei presunti esecutori materiali dell’omicidio avvenuto nel 1983. Secondo il giudice, inoltre, “l’operatività della cosca non è mai venuta meno negli anni successivi e permane tuttora”. L’omicidio sarebbe quindi stato commesso “con un’accurata pianificazione e organizzazione da una pluralità di persone, al fine di agevolare l’associazione mafiosa dei Belfiore”. Il gip aveva definito poi Bruno Caccia un “magistrato integerrimo”, il solo magistrato “ucciso da organizzazioni mafiose nel Nord-Italia”. E gli “elementi di prova” a carico di Schirripa sono “in equivoci”.

Nell’ordinanza di 108 pagine, il gip aveva sottolineato inoltre che Schirripa “non ha manifestato alcuna resipiscenza, alcun rimorso per un omicidio così efferato, ed anzi tali stati d’animo sembrano estranei”. E contesta “l’elevato, concreto ed attuale pericolo di reiterazione del reato” da parte dell’uomo “dall’elevatissima capacità criminale”, che definisce “esponente di spicco della ‘ndrangheta calabrese”, in passato ai vertici della locale di Moncalieri (Torino). Secondo il giudice, il pericolo di reiterazione del reato emergerebbe anche da una conversazione tra Schirripa e Placido Barresi, intercettata dagli investigatori lo scorso 12 novembre, nella quale quest’ultimo alcune settimane dopo aver ricevuto la lettera anonima – utilizzata dagli inquirenti per sondare le loro reazioni – “manifesta preoccupazione per la presenza di persone a cui Schirripa ha confidato di aver partecipato all’omicidio Caccia e ipotizza l’opportunità di eliminare tali fonti di pericolo. Se io lo individuo è una cosa che mi sbrigo io (…) e me lo tolgo dai piedi”, afferma Barresi. E Schirripa risponde: “Ma tu vedi di individuarlo che poi (…) non ti preoccupare”.

fonte: il dispaccio.it

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