Affetta da una grave forma di linfoma, con un piede amputato e l’altra gamba fratturata; le hanno riconosciuto il massimo grado della legge 104 e un’invalidità civile non più revisionabile: assistita dalla figlia convivente sette giorni su sette, per l’Inps non ha (ripetiamo: non ha) diritto all’accompagnatore.
È la stessa signora, sidernese, a raccontare al cronista un calvario fatto di ricoveri e interventi chirurgici frequenti, terapie massicce e la vita quotidiana da allettata della propria madre settantenne che, come riconosciuto dal medico curante «non è in grado di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore». Un aggravamento delle condizioni che ha indotto la figlia a lasciare il posto di lavoro per poterla assistere e che ora si trova a subire la beffa del mancato riconoscimento di un diritto, l’unico idoneo ad assicurare un minimo di dignità alla propria genitrice.
Le carte, del resto, parlano chiaro. Sono almeno dodici le patologie accertate nel corso di un ricovero nell’unità di Ematologia al Policlinico universitario di Messina che disegnano un quadro clinico assai complesso della donna, che tra l’altro ha trascorso la propria vita professionale ad assistere gli infermi e che ora, appena entrata nella terza età, non riesce a compiere gli atti ordinari della propria vita quotidiana senza l’assistenza della figlia.
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