«Ritiene il Tribunale che l’istruttoria svolta non abbia consegnato la piena prova dell’appartenenza di Cosimo Commisso cl. ’50 all’associazione di stampo mafioso ’ndrangheta per come contestata». A scriverlo sono i giudici del collegio di Locri (presidente Ada Vitale, consiglieri Andrea Bonato anche relatore e Rosario Trogu), nelle motivazioni della sentenza del processo scaturito dall’inchiesta “Core Business” della Dda di Reggio, che si è concluso in primo grado con l’assoluzione di Cosimo Commisso e degli altri 6 imputati.
Con riferimento all’imputato principale, ovvero Cosimo Commisso (classe 1950), il pubblico ministero aveva chiesto 25 anni di reclusione, sostenendo che il 73enne «ha ricoperto un ruolo apicale nella ’ndrangheta, indicato in un’intercettazione come “il punto di riferimento per qualunque cosa”».
In difesa del 73enne originario di Siderno – che si trovava detenuto in regime di carcere duro a Tolmezzo da circa 18 mesi, da dove è uscito dopo la lettura del dispositivo, e che ha subito nel corso delle sue vicende processuali una detenzione complessiva di circa 30 anni di reclusione – hanno chiesto e ottenuto l’assoluzione gli avvocati Sandro Furfaro e Francesco Commisso.
Nelle motivazioni depositate nei giorni scorsi il Tribunale penale di Locri ha accolto le argomentazioni difensive, tra l’altro evidenziando che se le risultanze investigative in fase cautelare «sono risultate sufficienti, sotto il profilo della gravità indiziaria, a fondare l’applicazione della carcerazione preventiva, in sede dibattimentale non hanno resistito al vaglio del contraddittorio, soprattutto a fronte di contributi difensivi la cui pregnanza è stata tale da minare irrimediabilmente l’impianto accusatorio».
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