Si racchiudono in 18 pagine le motivazioni della sentenza della Corte d’appello di Catanzaro che, in sede di revisione, ha accolto l’istanza proposta nell’interesse di Cosimo Commisso (classe 1950), dagli avvocati Sandro Furfaro e Francesco Commisso, avverso la sentenza con la quale il 74enne di Siderno era stato condannato a 12 anni di reclusione quale asserito capo dell’omonima consorteria criminosa.
Come riporta Rocco Muscari sull’edizione cartacea di gazzettadelsud- Calabria oggi in edicola, alla base della pronuncia ci sono in primo luogo la valorizzazione della sentenza del maxiprocesso “Crimine”, nonché il contenuto delle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia e soprattutto il richiamo alla motivazione con la quale la Corte d’appello di Napoli, nel gennaio del 2019, in sede di revisione, ha assolto dopo 26 anni di reclusione, Cosimo Commisso con la formula “per non aver commesso il fatto” dalla pesante accusa di essere stato il mandante di 5 omicidi e 3 tentati omicidi commessi tra maggio del 1989 e luglio del 1991, nell’ambito della cosiddetta faida di Siderno.
I magistrati catanzaresi – si legge ancora nell’articolo- hanno richiamato il contenuto della sentenza dei giudici napoletani, nello specifico laddove si valorizza la sentenza “Crimine”, «ed ancora di più il compendio intercettivo acquisito in quella indagine, in particolare, le conversazioni registrate all’interno della lavanderia Apegreen», con la Corte partenopea che ha rilevato come «era stato possibile ricostruire in maniera del tutto diversa la compagine criminale facente capo alla famiglia Commisso, a partire dal suo stesso vertice», identificato in altra persona rispetto a Cosimo Commisso (cl. 50). «Analogamente a quanto già ritenuto dalla Corte d’appello di Napoli – concludono i giudici di Catanzaro – deve ritenersi che “da tali considerazioni emerge la verità processuale secondo cui non può ritenersi provata oltre ogni ragionevole dubbio la qualità di capo clan a Cosimo Commisso”».