La magia di Polsi è di non essere un luogo geografico, ma una sensazione dolcissima e arcana. Polsi è l’ansia di arrivarci la prima volta che ti ci portano sulle spalle della mamma o delle nonne, o, come talora capitava, nelle gerle dei muli, mentre sotto di te nel buio dolcemente mormorava la fiumara. Polsi è gli antichi rumori notturni dei preparativi per la partenza ed il confuso “Si parti e si partiu di Santu Luca …” intonato dalle donne della parte alta del paese che diventava sempre più forte, sempre più chiaro, man mano che si avvicinavano alla chiesa. Polsi è la gioia della prima volta che ci arrivi e che sarà destinata a ripetersi ad ogni tuo ritorno. Polsi sono i tuoi morti che a quella Madonna hanno rivolto l’ultima invocazione. Polsi è la loro eredità più importante, e spesso anche l’unica, che ci induce a ripercorrere le antiche strade cantando le lodi di una Madonna che sentiamo vicina a noi più che in qualsiasi altro luogo della terra. Polsi, infine, è l’unico modo per restare bambini e coltivare ancora la speranza di un domani migliore. Perciò, continua a restare una leggenda, un mito, un arcano. E per questo resta una favola la cui conclusione non può essere che quel Viva Maria! che scaturito non dalla gola ma dal cuore della gente aspromontana, riempie la vallata, mentre l’eco va sempre più diffondendosi tra le montagne circostanti. Ed in quel grido, che non ha nulla d’esultante, ma che anzi fa venire i brividi tanto è angosciante e disperato, si racchiudono le speranze di tutto un popolo di disperati, di emigranti e di emarginati che sperano solo nella Vergine di Polsi. … E mentre calano le prime ombre della sera, e insieme ad esse calano il vento ed i rumori, per la vallata echeggia la struggente ““Bonasira vi dicu a vui Madonna …”. E’ l’ora del saluto. In quelle note, dolci nella quiete serale, si materializza impalpabile ed ovattato, nel silenzio dell’ora, il rapporto di tutto un popolo con una Mamma tanto buona e condiscendente da salutare i figli con lo stesso loro linguaggio e nella maniera più semplice e forse proprio perciò la più commovente: “Vajiti, bonasira e santa paci!”.
Mario Nirta