«Il pieno coinvolgimento del M. nell’esecuzione di lavori subappaltati in modo irregolare in favore di un’impresa sostanzialmente controllata da un esponente di spicco della criminalità organizzata e la dimostrata contiguità dell’istante all’ambito criminale contestato, costituiscono elementi correttamente ritenuti dal giudice della riparazione sintomatici della colpa grave, e pertanto ostativi alla riparazione».
È quanto scrivono i giudici della Corte di cassazione nella sentenza con la quale hanno rigettato il ricorso presentato da M.F., 57 anni, di San Luca, che ha impugnato la decisione con cui la Corte di Appello di Reggio Calabria ha rigettato la richiesta di riparazione avanzata in relazione all’asserita ingiusta detenzione patita dal ricorrente dal 6 luglio 2012 al 17 luglio 2014, in regime di custodia cautelare in carcere e, una del periodo in regime di arresti domiciliari, in quanto indagato per il reato di associazione mafiosa. Il ricorrente era stato prosciolto dall’accusa con sentenza del Tribunale di Locri del 17 luglio 2014, confermata in appello e divenuta irrevocabile il 12 gennaio 2019.
A riportare la notizia Rocco Muscari su gazzettadelsud,calabria, oggi in edicola
I giudici ermellini hanno ritenuto che il provvedimento impugnato è motivato «in modo esaustivo, logico e privo di contraddizioni, in conformità agli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, atteso che ha individuato, con estrema puntualità, quelle condotte del ricorrente, poste all’attenzione del giudice della cautela e confermate dai giudici di merito, nonostante l’assoluzione, da ritenere gravemente colpevoli, in quanto espressione di piena consapevolezza del metodo utilizzato per il conseguimento del subappalto non autorizzato e di un’evidente contiguità con ambienti di criminalità organizzata, tali da contribuire, dal punto di vista causale, all’adozione e al mantenimento della misura cautelare».