Da oggi al via, un nuovo appuntamento con il nostro sito e con una rubrica aggiornata ad ogni mercoledì, che sarà dedicata ai mestieri tradizionali, curata dall’amico Bruno Palamara. Quest’oggi, per iniziare, pubblichiamo un profilo di una delle figure più pittoresche e popolari che un tempo hanno animato la vita delle nostre comunità che senza dubbio era rappresentata dal banditore (“u bandiaturi”).

Il banditore (’u bandiaturi)

Una delle figure più pittoresche e popolari che un tempo hanno animato la vita delle nostre comunità è senza dubbio quella del banditore (“’u bandiaturi”). Storicamente questo singolare personaggio compare già in periodo romano (I secolo a.C.): il banditore precedeva nel tragitto verso il supplizio il condannato alla crocifissione, informando la popolazione sulle generalità, sul delitto e sulla sentenza emessa. La figura del banditore la ritroviamo nei testi talmudici (testi sacri dell’ebraismo), durante lo svolgimento del processo a Gesù da parte del Sinedrio, come anche nelle rappresentazioni teatrali, all’inizio delle quali egli annuncia al pubblico il titolo dello spettacolo, riassumendo ciò che avrebbero visto dopo. Nel Medioevo, data la mancanza di qualunque mezzo di comunicazione, il banditore assume un ruolo di rilievo, incaricato di diffondere e rendere pubbliche le ordinanze delle autorità cittadine e, perfino, di pubblicizzare vendite ed eventi di vario genere, anche di natura privata. Usufruiscono di questo suo servizio venditori di stoffe, ambulanti e commercianti, i quali promuovono le loro merci tramite, proprio, il banditore, che, spesso, viene da loro pagato in natura, con frutta, con verdura o con altri generi alimentari. A questo incarico tra il IX e X secolo, durante il fenomeno dell’incastellamento, il banditore aggiunge altri e più importanti compiti, tra i quali quello di citatore e di esecutore delle sentenze, ma anche di poliziotto e di carceriere. Nel periodo comunale il Comune stabilizza la funzione pubblica del banditore, dando l’incarico, generalmente, ad una persona che già lavora per l’Amministrazione, impiegata in altre mansioni, quali guardiano del cimitero, spazzino o guardaboschi, o, a volte, a qualche cittadino socialmente disagiato. Egli diventa col tempo indispensabile, vero e proprio strumento dell’Amministrazione comunale che se ne serve per avvisare i cittadini su fatti amministrativi di interesse generale, ma anche su feste, spettacoli, guasti e inconvenienti pubblici. Con il passare del tempo il banditore (“u bandiaturi”) comunica (“bandìja”) non solo le notizie che possono riguardare avvisi dell’autorità, sindaco o podestà, ma anche informazioni commerciali. Il “bando” rappresenta, quindi, una primordiale forma di pubblicità, divulgata attraverso la tonante voce del banditore. Fino alla metà del secolo scorso gran parte della popolazione è analfabeta e, quindi, non in grado di leggere né ordinanze né manifesti. A quell’epoca non esisteva l’“ufficio-informazioni”, né, tanto meno, ci si poteva collegare a internet, ancora di là da venire. Ecco, allora, la necessità di un professionista che possa portare fin dentro le case le necessarie informazioni sia delle autorità locali che di privati cittadini per scopi commerciali. Solitamente, il “bando” avviene di sera, quando le famiglie sono riunite a cena oppure durante la mattinata, prima che le donne si rechino in campagna con il pranzo, in modo da informare della notizia anche i familiari che sono al lavoro. Il banditore (“u bandiaturi”) si ferma agli angoli delle strade, nei crocicchi, dà alcuni tocchi di tamburo o qualche squillo di cornetta, per richiamare l’attenzione dei cittadini e, nel più rigoroso linguaggio dialettale locale, preceduto, spesso da frasi scherzose, dà libero 1 sfogo ai polmoni, gridando ai quattro venti il messaggio, ossia “getta il bando” (“jetta ’u bandu”), iniziando con il classico “Sentite, sentite, sentite!” oppure “Per ordine del signor Podestà” o, ancora, “il Sindaco manda a dire che…”. Diverse sono le tipologie di bando. I più importanti sono quelli delle istituzioni e si danno per alcune sere, all’imbrunire, quando già la popolazione è raccolta in casa. Vengono poi i cosiddetti “consigli per gli acquisti”, annunci pubblicitari riguardanti carne fresca di bassa macelleria, frutta, vino, novello o “invecchiato”, al dettaglio. E così si poteva sentire “u bandiaturi” gridare con la sua voce squillante: “Se volete acquistare un litro di buon vino dovete andare alla cantina di “mastro Turi!” (Cu’ voli vinu ’bbonu, ’i va’ ’a putigha ’i mastru Turi!) oppure “II sindaco manda a dire che domani manca l’acqua!” (’U sindacu avverti ca’ domani manca l’acqua), o, ancora, “Chi vuole peperoni, pomodori e melanzane che si rechi in piazza) “Cu’ voli pipi, pumadòra e mulingiàni ’i va’ supra ’a chjazza”. Altri esempi di “bando” possono essere la denuncia di furti, l’organizzazione di pellegrinaggi nei vari Santuari, l’inizio dell’anno scolastico, l’arrivo in paese del fruttivendolo o dell’arrotino, il pagamento dell’indennità di disoccupazione. Il banditore è un ottimo parlatore, un uomo che sa improvvisare, un buontempone. Ha, inoltre, molto fiato e … buone gambe utili e necessarie per percorrere le sempre accidentate strade del paese. Porta un berretto distintivo con le iniziali “BP”, cioè banditore pubblico, e se anche somiglia spesso più ad uno straccione che ad un segretario, è, in ogni modo, un’istituzione comunale con una funzione rilevante in una società che si caratterizza per analfabetismo e povertà. Spesso, al banditore piace assumere un portamento marziale: si pianta a gambe divaricate in mezzo ad un incrocio e dopo i classici rollii di tamburo o squilli di trombetta aspetta che la gente spalanchi porte e finestre o che si raduni tutt’intorno a lui. Soltanto dopo, mettendosi le mani “a conchiglia” intorno alla bocca, come se volesse indirizzare la voce il più lontano possibile, inizia a “gettare il bando”. Tanti banditori sono rimasti per anni nella memoria della gente che, istintivamente, lega la loro figura a fatti lieti o tristi della vita di ogni giorno. Si ricorda, soprattutto, quel banditore, da tutti chiamato Rosario “’u ’mbriacuni”, che, solitamente, durante il percorso si fermava ad ogni cantina per bere qualche “quarto” di vino, che, dandogli alla testa, spesso non gli permetteva di concludere il “giro” del paese e si addormentava in ogni dove, magari “infierendo” contro chi cercava di svegliarlo. Per la sua recidività, Rosario “’u ’mbriacuni” fu col tempo licenziato, sostituito da un altro banditore, che si guardò bene dall’avvicinarsi alla bevanda tanto cara al dio Bacco. Noi, ragazzini degli “anni sessanta”, l’epoca che ha decretato la sua scomparsa, abbiamo avuto modo e opportunità di conoscere, e “gustare”, l’ultimo dei banditori del nostro paese, “Ciccio, ’u bandiaturi”, detto anche “Ciccio, ’u streghu”. Per noi ragazzi era un’attrazione, lo seguivamo passo passo nel suo quotidiano percorso, accompagnato solo dal suo lungo e levigato bastone. Conosceva palmo a palmo le strade del paese, individuando perfettamente i posti più idonei e confacenti a “jettari ’u bandu”: eppure, era cieco! “Vedeva”, però, quasi meglio degli altri, sapendo riconoscere le monete dal tatto e le persone dal passo, dal contatto della mano o dal timbro della voce. Era stata un’atrofia agli occhi a portarlo alla cecità, che, però, non gli impedì di svolgere le normali attività della quotidianità contadina, come seminare con le mucche o portare al pascolo la capra. Pretendeva solo una cosa nel suo lavoro: il silenzio assoluto prima di “tuonare” col bando. 2 Anche se anziano, infatti, lo sorreggevano ancora le sue potenti corde vocali che gli consentivano di emettere una voce forte e compatta, che arrivava chiara e distinta alle orecchie tese ad ascoltare dei cittadini. Si racconta che da giovane, nel timore di inciampare su qualche incolpevole ragazzino lasciato solo dalla madre per strada (allora non c’erano automobili in giro!), preferiva (che sensibilità!) “bandiari” dopo il tramonto del sole. Anche se si trovò nel tempo claudicante e malato, “Ciccio, ’u streghu” non volle mai lasciare quel suo amato lavoro e, accompagnato da qualche nipotino, continuò fino alla meritata pensione a portare nelle case le notizie a volte belle, spesso brutte. Col tempo “’u bandiaturi”, che, in parte, possiamo oggi paragonare ad un “telegiornale ambulante”, è stato sostituito dal “freddo” manifesto attaccato ai muri. Contemporaneamente, la diffusa scolarizzazione di massa degli “anni sessanta” con conseguente scomparsa dell’analfabetismo e, soprattutto, l’avvento dei mezzi di comunicazione moderni, hanno portato alla scomparsa, in maniera lenta ma inesorabile, di una delle figure più caratterizzanti della nostra tradizione popolare. Oggi il sistema di comunicazione è cambiato, la tecnologia ha trasformato tutto e tutti. Il banditore è stato sostituito da sms, volantinaggio, mail, pubblicità radiotelevisiva che sono entrati prepotentemente in casa, invadendo, finanche, la privacy delle nostre famiglie. La modernità non ne ha più bisogno e l’ha mandato in pensione in onore di un progresso privo di quell’“anima”, che solo lui,“u bandiaturi”, riusciva a donare. La sua voce ora è solo “memoria”. Ci conforta il fatto che il ricordo di questa estroversa e amabile figura del passato rimarrà per sempre indelebile nel nostro immaginario collettivo.

Bruno Palamara (www.africo.net)

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