La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura generale di Reggio Calabria contro la sentenza della Corte d’appello che, il 19 maggio scorso, ha assolto l’ex deputata del Pd, Maria Grazia Laganà, vedova di Francesco Fortugno, il vicepresidente del Consiglio regionale della Calabria ucciso a Locri nel 2005. Laganà era stata assolta in appello dai reati di falso e tentativo di truffa ai danni dell’Asl di Locri. L’ex deputata per mezzo di una nota stampa ha fatto sapere che “Si è dunque definitivamente conclusa, una vicenda giudiziaria pendente da molti anni, che ha molto pesato sulla mia vita personale e politica”. “Già la sentenza d’appello, riformando quella del Tribunale di Locri, aveva restituito a me e alla mia famiglia la serenità. Soltanto, però, la conferma definitiva dell’assoluzione da parte della Corte di Cassazione restituisce pienamente me e la mia famiglia alla nostra vita” ha aggiunto la vedova di Fortugno.  Un verdetto che rappresenta per Maria Grazia Laganà una rinvincita ulteriore essendo stata, da moglie di Francesco Fortugno, vittima del più rilevante omicidio politico-mafioso degli ultimi trent’anni, sottoposta a processo per falso e tentativo di truffa e raggiunta dall’informazione di garanzia nel mentre era in corso il processo per l’omicidio del marito, “il vedere verificate tutte le operazioni economiche della mia famiglia, riferisce, mi lascia oggi una sola soddisfazione: che nulla di anomalo si è rinvenuto e che i fatti a me contentati non sussistono. La pendenza di questo processo mi ha indotto ad autosospendermi dal Partito democratico, a non ricandidarmi alle elezioni politiche”. “Nonostante nessuna norma mi imponesse tali scelte, ho ritenuto, prosegue la Laganà, che, essendo stata eletta deputata in quanto vedova di Francesco Fortugno ed avendo improntato la mia attività politica all’attuazione dei valori che avevano improntato la sua azione politica, la mia condanna, sia pure soltanto in primo grado, mi imponeva di ritirarmi in attesa che fosse riconosciuta la mia innocenza. Sono certa che queste mie scelte sarebbero state condivise da mio marito, se la barbarie politico-mafiosa non l’avesse sottratto all’affetto mio e della mia famiglia”.
ALESSANDRA BEVILACQUA
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