Gruppo criminale che, secondo l’impostazione accusatoria, nel tempo sarebbe entrato in possesso di numerose attività commerciali romane: bar e ristoranti del centro, come il Cafè de Paris in via Veneto, un tempo locale degli anni della dolce vita.
In primo grado, nell’aprile 2014, la settima sezione penale del tribunale capitolino inflisse quattordici condanne (a pene comprese tra i sette anni e i due anni di reclusione) per complessivi oltre 40 anni di reclusione; a vario titolo e a seconda delle specifiche posizioni processuali, l’imputazione era ed è quella di trasferimento fraudolento di beni con l’aggravante mafiosa.
Adesso, in sede di giudizio d’appello, il Pg ha chiesto una serie di riduzioni di condanne, per il fatto che nelle more della celebrazione del processo, alcune delle contestazioni sono da ritenersi prescritte. Per quanto riguarda lo specifico le richieste di condanna, il rappresentante dell’accusa ha chiesto 6 anni di reclusione per Vincenzo Alvaro (ritenuto dagli inquirenti il ‘capo’ del gruppo, in primo grado ebbe 7 anni), due anni per la moglie Grazia Palamara (in primo grado ebbe 4 anni), la conferma di quattro anni e mezzo per Damiano Villari.
E poi, al netto delle riduzioni per le prescrizioni, le condanne di: Aurino Colao (2 anni), Roberto De Lio (3 anni), Giuseppe Lupoi (3 anni), Antonio Rocco Alvaro (2 anni e 8 mesi), Domenica Esposito (2 anni), Maria Concetta Palamara (2 anni), Nicola Ascrizzi (4 anni), Teodoro Gabriele Barresi (4 anni) e Maria Eufemia Billè (2 anni e 8 mesi).
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