«Il 17 giugno u.s. l’Amministrazione Comunale di Roccella, dopo anni di importanti lavori di recupero, ha consegnato ai cittadini il Palazzo Carafa.
Tutti i roccellesi, indipendentemente dalla parte politica cui appartengono, hanno partecipato all’evento con un misto di commozione, felicità, nostalgia e, soprattutto, di orgoglio. L’orgoglio di veder realizzato il sogno di tante generazioni: quello di poter, dopo tanti anni, godere del simbolo del proprio paese finalmente integro, visitabile, perfettamente fruibile.
Come al solito, mentre tutti gioivano, in qualche segreta ed oscura stanza dell’opposizione (che di “bene comune” vanta solo il nome e nulla più), si consumava il consueto lutto. Un sentimento di cordoglio che, come un riflesso condizionato, come un forte attacco di bile, colpisce quella ristretta parte di ceto politico ogni volta che il nostro paese e la nostra comunità compiono un passo avanti, ottengono un importante risultato, crescono nella considerazione nazionale, si sviluppano. Anche in questa occasione quel ceto politico spera (invano) nel peggio, lavora (inutilmente) perché nulla possa realizzarsi. Perché quello, il nulla, è l’unico terreno sul quale sono capaci di confrontarsi.
Ed allora si è contestata un’opera di recupero che tutti gli autorevoli ospiti di quella memorabile serata, tra cui la massima Istituzione competente per la tutela del patrimonio storico ‐ la Sovrintendenza Regionale delle Belle Arti ‐ hanno definito un esempio, sia sotto il profilo del recupero architettonico, sia sotto quello dalla buona prassi amministrativa. Un’opera di restauro, è bene ricordarlo, nata sulla base di una stretta collaborazione tra Comune di Roccella Jonica, la Regione Calabria e la Sovrintendenza, alla quale fu istituzionalmente affidata la direzione dei lavori.
Ma ciò che fa più sorridere, o, a seconda dei casi piangere, è il fatto che coloro che siedono nei posti di comando dell’opposizione (che di “Bene Comune”, lo sottolineiamo nuovamente, ha solo il nome e nulla più), sono gli stessi politici che hanno assistito inerti al disfacimento del Castello, sopportando che in esso albergassero capre, pecore ed altri animali da cortile. Statisti che vorrebbero fare del Castello un Casinò, e che oggi vestono gli improbabili panni degli archeologi e degli architetti paesaggisti.
E mano a mano che in loro cresceva la rabbia per il Castello illuminato che assurge a simbolo definitivo di Roccella, in un eccesso di sconforto hanno propinato una bugia già ascoltata, sostenendo che nei lavori di riqualificazione del centro storico sarebbero stati usati materiali non conformi al progetto approvato dalla Regione Calabria. Sapendo benissimo che quei lavori sono stati oggetto dell’atto finale di collaudo in cui autorità terze (e non il cugino od un parente stretto del Sindaco) hanno attestato l’assoluta conformità dei materiali al progetto esecutivo approvato».
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