Un anno fa tutta la stampa nazionale iniziò a parlare della straordinaria attività di soccorso ai migranti che da anni si portava avanti a Roccella. Le condizioni di operatività dei soccorritori, dei volontari e del nostro ente erano allo stremo e per questo alzammo la voce, chiedendo con forza un intervento diretto del Ministero dell’Interno a supporto di tutte le istituzioni ed i soggetti impegnati sul campo. Quel nostro appello fu ascoltato con attenzione ed oggi ormai esiste sul campo una organizzazione molto rodata e “multi agente” che, coinvolgendo finalmente organizzazioni e istituzioni internazionali, riesce, pur sempre tra mille difficoltà, a garantire condizioni quanto più possibile accettabili di accoglienza per il primo soccorso ai migranti.
Con il tempo mi sono accorto che il crescere della attenzione mediatica rischiava di generare una sovraesposizione personale sul tema, ragione per cui ho deciso da tempo di non parlare più di quello che si fa al Porto delle Grazie. L’ho fatto non per nascondere il mio pensiero e l’impegno del Comune, ma per non alimentare uno sport nazionale. Quello della ricerca di un “simbolo” dietro il quale nascondere il proprio disimpegno, a fianco del quale (ma un passetto indietro) difendere i migranti, o contro il quale (preferibilmente sempre un passetto indietro per non farsi vedere troppo), sfogare la propria rabbia. Finendo come sempre a parlare di simboli e non dei migranti. Dopo un po’, quindi, torno sul tema.
Nella notte del 4 novembre una motovedetta della Capitaneria di Porto ha salvato, in condizioni operative molto difficili, 80 migranti che ora sono al Porto delle Grazie assistiti con cura dalla “macchina dei soccorsi”. Dal 26 ottobre sono stati molte le operazioni di soccorso in Calabria e in Sicilia. E da quel giorno nel Mediterraneo sono state salvate 6.200 persone. Di queste 5.200 sono state subito portate in salvo, 1.000 hanno dovuto attendere ciò che tutti sappiamo succederà. Ossia di essere sbarcate in Italia, come è giusto che sia, dopo una inutile lunga permanenza a bordo delle navi delle ONG, magari non appena qualche nuovo evento di cronaca distogliera’ l’attenzione mediatica.
Mi sono chiesto perché questo film già visto. Sono convinto succeda perché serve un simbolo da difendere con passione o da attaccare con decisione, lasciando da parte, come avviene da tempo, la razionalità richiesta per la gestione di una crisi come quella che da decenni stiamo vivendo.
Anche in questa riflessione, come cerco di fare sempre, non ho uso il termine accoglienza, ma soccorso. Perché il primo equivoco da risolvere è proprio questo: a Roccella non ci occupiamo di accoglienza, ma di soccorso.
E si deve ricordare sempre che una, tre, cento o duecento persone che si trovano in pericolo a mare sono innanzitutto naufraghi e poi “migranti”. E sono naufraghi perché si trovano a bordo di una imbarcazione in difficoltà, così come lo sarebbero i pescatori di un peschereccio o una famiglia di diportisti. Esiste una convenzione internazionale (la Convenzione UNCLOS) che impone al Comandante di una nave, qualsiasi sia la bandiera che batte, di prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo. Non esiste quindi alcuna possibilità che un Comandante di una nave che avvisti una imbarcazione in difficoltà con esseri umani a bordo possa tergiversare per il loro salvataggio. Ogni Comandante di una nave è tenuto al salvataggio di naufraghi che dovesse avvistare. Come ha fatto il comandante del mercantile Christina V che batte bandiera delle Isole Marshall, che la mattina del 30 ottobre ha sbarcato a Trapani 147 naufraghi siriani soccorsi in un tratto di mare tra la Cirenaica e Creta. Con il placet delle autorità italiane. Perché non si impone alle Isole Marshall di farsi carico dei Migranti? Cosa differenzia il comportamento del Comandate della Christina V da quello del Comandante della Ocean Viking al quale invece è impedito lo sbarco a Trapani? Forse il fatto che la Christina V appartiene ad una compagnia di navigazione, mentre la Ocean Viking ad una ONG?.
Se c’è una cosa che ho imparato da questa esperienza di Sindaco è che ai cittadini si deve parlare il linguaggio della verità. Anche se è complesso e scomodo. E quindi credo si debba dire una volta per tutte agli italiani che non è possibile per il nostro Paese venire meno agli obblighi di soccorso in mare. E finirla con la barzelletta dei porti chiusi che chiusi non possono essere. E non lo saranno nemmeno questa volta.
Poi una cosa è il soccorso e altra è l’accoglienza e il diritto al non respingimento.
Piuttosto che rifiutare il soccorso (che compete a noi e non ad altri) sarebbe forse più utile pretendere una profonda revisione delle regole vigenti, che consenta finalmente, vista la natura del fenomeno, di qualificare, nel caso dei migranti, il porto sicuro di approdo come porto d’Europa e non d’Italia. E rivedere le attuali procedure di identificazione, respingimento e avvio del percorso di accoglienza che sono non idonee (perché troppo lunghe) a garantire i diritti dei rifugiati e inutili (perché dettate per altri scopi) per accogliere i migranti economici, che sanno benissimo di non avere diritto alla accoglienza, ma non hanno alcuna alternativa di entrata in Italia. In una situazione assurda nella quale peraltro la denatalità è il problema più urgente con il quale dovremo fare i conti e nel solo Nord Est si stima un fabbisogno di 50.000 lavoratori ogni anno che non potrà mai essere soddisfatto dal numero di disoccupati italiani in età lavorativa.
Mostrare i muscoli su un terreno nel quale non si possono mostrare, non solo per convinzione etica, ma per diritto internazionale, ci isola e ci indebolisce rispetto alla legittima richiesta ai paesi membri della UE di farsi carico non del soccorso (che non è possibile), ma della accoglienza dei naufraghi salvati. Non è ammissibile che si dica al nostro Paese “hai il dovere di salvarli” sulla base di norme internazionali scritte non certo considerando il fenomeno che stiamo vivendo, lasciando sola l’Italia, in quanto paese che ha operato il soccorso, nella gestione della accoglienza. E’ evidente che così il sistema salta, oscillando pericolosamente tra opposti ideologici. E che a fare le spese di tutto ciò saranno le famiglie, le donne, i minori che scappano da guerre e che hanno pieno diritto al riconoscimento dello status di rifugiato.
Litigando tra chi dice accogliamoli tutti e chi respingiamoli tutti, stiamo pericolosamente discutendo dell’indiscutibile dovere di salvarli tutti.
Vittorio Zito sindaco di Roccella J. fb