Sull’alluvione che nell’Ottobre del 1951 ha causato la tragica fine di Africo e di Casalnuovo, si sono spesi fiumi di parole, si sono dati giudizi contrastanti, ognuno l’ha giudicata in modo personale. Io cerco di dare il mio parere da storico, oltre che da africese, uno degli ultimi nati nella vecchia Casalnuovo d’Africo.
Indubbiamente, Africo ha avuto una storia difficile, storia di sacrifici e di terremoti, una storia complessa e complicata, una storia di gente povera e laboriosa, fiera e tenace, mai arrendevole, il cui punto nevralgico è rappresentato proprio dall’alluvione del ‘51, vero e proprio spartiacque di due mondi diversi e contrastanti: Africo “prima dell’alluvione”, Africo “dopo l’alluvione”.
La prima parte è rappresentata da secoli di vita fatta di grandi sacrifici e di poche gioie, durante i quali la gente africese percorre in maniera lenta e faticosa il duro percorso verso la modernità, adattandosi e accettando passivamente una vita vissuta ai limiti della sopravvivenza, come fosse stata decisa da un fato di greca memoria, che le abbia precluso ogni sorta di prospettiva di migliore futuro. In effetti, alla vigilia dell’alluvione (“fine anni quaranta”) Africo si dimena in una estrema condizione di povertà, economica, sociale, culturale. Pur dopo l’eclatante e (in parte) fruttuosa indagine-inchiesta del meritorio Umberto Zanotti Bianco che all’epoca, 1928, colpì in maniera eclatante l’opinione pubblica nazionale e mondiale, venuta a conoscenza delle tristi e degradate condizioni in cui versava la popolazione dei due centri, in realtà, ad Africo e a Casalnuovo nulla cambiato, se è vero, come è vero, che nel 1948 un’altra importante inchiesta promossa da “L’Europeo” ripropone la stessa situazione di degrado e di abbandono.
Sono passati vent’anni dalla venuta in Africo e Casalnuovo di Zanotti Bianco, c’è stata la guerra, la caduta di Mussolini e del fascismo, il nuovo assetto istituzionale rappresentato dalla Repubblica, che ha soppiantato la Monarchia.
Ebbene, Africo e Casalnuovo sono ancora fermi agli “anni venti”, come ci dimostra l’inchiesta di Tommaso Besozzi con il reportage fotografico di Tino Petrelli che mostrò al mondo una situazione non dissimile da quella rilevata nel 1928, come se il tempo si fosse lì fermato! Africo continua ad essere uno dei paesi più poveri, anzi, come dice il Besozzi, “il più povero, il più triste, il più infelice della Calabria”.
Ma, come nella Storia spesso accade, sono i grandi eventi straordinari, non previsti né prevedibili, penso alle guerre, ai terremoti, alle rivoluzioni, a ribaltare il destino dei popoli e a cambiare la vita e il percorso degli stessi.
Per i nostri due paesi, affratellati in una secolare condizione di vita misera e degradata, che sembrava immodificabile e perpetua, è l’alluvione l’evento straordinario che li affranca da quel destino che sembrava ineluttabile, ma che io ritengo altamente provvidenziale, favorevole. Da lì nasce e si sviluppa, infatti, un percorso che cambierà completamente, e in positivo, il corso e la qualità della loro vita, perché se da un lato quella traumatica tragedia, umana e ambientale, porta, per tutti, lutti e sacrifici d’ogni genere, dall’altro, e per il popolo di Africo e di Casalnuovo in particolare, rappresenta l’inizio di un percorso che, attraverso varie vicissitudini, li farà pervenire al loro attuale “status” di “paese al passo con i tempi”.
Certo, abbiamo dovuto pagare un prezzo molto alto, abbandonare i luoghi natii, lasciare per sempre l’amato paese dei nostri padri, piangere la morte di ben nove nostri compaesani (tre ad Africo e sei a Casalnuovo), peregrinare per anni come profughi in terra straniera, lottare allo spasimo per mantenere la propria identità di popolo, ma alla fine il risultato è positivo
E, infatti, se prima l’uomo africese (quando parlo di “africese” io intendo l’ “africoto” e il “tignanisi” messi insieme) aspetta con fatale rassegnazione il domani senza possibilità di cambiamento sostanziale con il passato, dopo i tragici fatti del ’51, invece, egli comincia a prendere, socraticamente, coscienza di se stesso e delle sue grandi potenzialità di incidere sul proprio destino, chiedendo e facendo prevalere i suoi diritti.
Sorgono così lotte che uniscono e che fanno in parte integrare questo popolo “venuto dalle montagne” con i paesi limitrofi. Gli anni post-alluvione sono anni difficili, la ricostruzione fisica e morale in marina è lenta, ma col tempo il popolo africese riesce ad emergere dal grigiore in cui era abbandonato e a pervenire ad una condizione socio-economica onorevole, mettendo i suoi figli in condizione di poter raggiungere grandi obiettivi nei più svariati campi della società.
Se, oggi, siamo quello che siamo, lo dobbiamo a quel tragico, traumatico e luttuoso evento, e, per questo, non dobbiamo cadere nella trappola della dimenticanza e dell’oblio. In questo contesto mi duole rilevare che siamo, inavvertitamente, divenuti una comunità “smemorata”, quasi irriconoscente verso quel mondo antico da cui deriviamo. I giovani poco o nulla sanno del passato del nostro popolo, perché abbiamo, tutti quanti noi, colpevolmente, trascurato di trasmettere la nostra memoria storica nella maniera più opportuna e necessaria.
Non basta partecipare, annualmente, ai pellegrinaggi del 18 Ottobre (“Commemorazione Alluvione ’51”) o del 5 maggio (“San Leo”), per comprovare l’amore per il proprio paese o per onorare i propri avi! Sarebbe, invece, più opportuno attivamente adoperarsi per il recupero dei due borghi scomparsi, oggi divenuti ruderi invasi dalla vegetazione o per introdurre lo studio della millenaria storia di Africo e di Casalnuovo nella Scuola Media cittadina, ma, soprattutto, per ristrutturare la odierna odonomastica urbana, “in toto”, oggi, dedicata a persone e personaggi che con l’identità e gli interessi della comunità africese non hanno alcun legame. Quanto sarebbe bello, e più utile, che i giovani d’oggi e le generazioni future, percorrendo le vie del paese o, magari, sostando nelle piazze cittadine, potessero, virtualmente, “incontrare” e “dialogare” con i molteplici protagonisti della millenaria storia africese persone che “si sono spese” per il proprio paese!
Tutti noi conosciamo, a ragione, quanti furono i re di Roma e, tranquillamente, snoccioliamo i loro nomi; ricordiamo, giustamente, con facilità scrittori, poeti e artisti vissuti secoli fa; sappiamo il nome di chi è stato il primo uomo a toccare il suolo sulla Luna o, per restare “in loco”, conosciamo la “Villa Romana” di Casignana o i famosi “Bronzi di Riace”.
Non conosciamo, invece, i nomi dei nostri “nove eroi” (tre di Africo e sei di Casalnuovo), tra i quali spicca quello di una giovane donna di diciotto anni, Annunziata Sculli, tragicamente caduti in quella fatidica alluvione del ’51 e verso i quali manca, ad oggi, quell’opera di consacrazione che la loro triste fine avrebbe meritato. Quanto sarebbe bello intitolare una via, una piazza, una istituzione comunale al sacrificio dei “nove caduti”, con una “Via Vittime dell’Alluvione del ’51” o “Piazza dei Nove caduti nell’Alluvione ’51”. Diventerebbero, essi, immortali!
Sarebbe la maniera più onesta e sacrosanta che il popolo di Africo possa fare per onorare e ricordare il loro santo sacrificio!!! Varrebbe di più e meglio di tante celebrazioni, pur necessarie, ma valide e utili solo a fini formali e rievocativi.
Bruno Palamara
fonte: https://www.kalabriaexperience.it/