Realizzata dall’Unità Organizzativa Marine Strategy dell’Arpacal (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Calabria), è iniziata da pochi giorni l’elaborazione dei dati, raccolti in oltre due anni di campionamenti, sulla concentrazione di microplastiche nel mare Jonio e Tirreno calabrese; elaborazione, che sarà presto trasmessa al Ministero dell’Ambiente, già considerata molto utile per la valutazione dello stato di qualità dell’ambiente marino-costiero della nostra regione.
Il 70% dei rifiuti che finiscono in mare, infatti, è costituito da plastiche, di diversa consistenza e dimensione, ma il maggiore pericolo proviene da quei piccoli frammenti, definiti appunto microplastiche o microlitter, praticamente invisibili ad occhio umano, che vengono ingeriti dagli organismi marini giungendo, attraverso la catena alimentare, anche a chi si nutre di quegli stessi organismi.
Prima di frammentarsi, inoltre, la plastica può essere ingerita da uccelli marini, tartarughe, cetacei e pesci morendo spesso soffocati. Studi recenti, infatti, attestano che dall’esame del contenuto stomacale eseguito su tartarughe marine, l’85% di esse hanno ingerito frammenti di plastica.
L’Unione Europea, quindi, con la Direttiva Europea 2008/56/CE meglio conosciuta come Direttiva Marine Strategy, ha chiesto ai paesi costieri che vengano effettuati monitoraggi delle microlitter lungo le acque costiere nazionali; in Italia il compito di attuare i protocolli metodologici è demandato alle ARPA.
Le microlitter vengono definiti “interferenti endocrini” perché provocano disfunzioni ghiandolari. Possono arrivare fino all’uomo attraverso la catena alimentare, ma non è ancora noto quali effetti possano avere sulla salute umana. Gli studi in questo settore sono ancora agli albori; certo è che l’ingestione di microplastiche genera sugli organismi marini due tipi di impatti differenti: di natura fisica come lesioni agli organi e di natura chimica come trasferimento e accumulo di sostanze inquinanti.
I pescatori trovano le reti piene di rifiuti di plastica ma non possono portarli a terra perché andrebbero smaltiti come rifiuti speciali ed i porti non sono attrezzati. La plastica che non cade sul fondo finisce a riva e le spiagge ne sono piene.
ARPA Calabria, con la sua Unità Organizzativa Marine Strategy diretta dal dr. Emilio Cellini, effettua ormai da due anni il campionamento delle microplastiche in sei transetti costieri regionali spingendosi sino a 6 miglia nautiche dalla costa. Gli studi si concentrano sui frammenti di plastica presenti in mare con dimensioni inferiori ai 5 mm, praticamente invisibili ad occhio nudo. Questa minaccia galleggiante viene prelevata con un retino chiamato “Manta Trawl”, costruito appositamente per navigare nello strato superficiale della colonna d’acqua e campionare quindi entro lo strato superficiale interessato dal rimescolamento causato dal moto ondoso.
L’utilizzo della rete permette di campionare grandi volumi d’acqua, trattenendo le microplastiche. La manta è costituita da una bocca rettangolare metallica da cui si diparte il cono di rete ed un bicchiere raccoglitore finale; due ali metalliche vuote, esterne alla bocca, la mantengono in galleggiamento alla superficie.
I campioni prelevati vengono poi sottoposti ad analisi quali-quantitativa in osservazione allo stereo microscopio, suddividendo le microplastiche per colore e forma. La concentrazione di microplastiche viene espressa come numero di oggetti per metro cubo d’acqua di mare campionata. Una volta elaborati, i dati acquisiti da ARPACAL saranno caricati nella banca dati del Ministero dell’Ambiente. L’elaborazione dei dati risulterà di estremo interesse in fase valutativa dello stato di qualità dell’ambiente marino-costiero calabrese.