di Gianluca Albanese -lentelocale.it
RIACE – Il rischio che si corre quando ci si lascia andare a delle condotte un po’ sopra le righe durante una manifestazione pubblica è che le polemiche conseguenti ottengano maggiore rilevanza mediatica rispetto ai contenuti alla base della manifestazione stessa.
E’ stato così in altre occasioni – pensiamo alla manifestazione a difesa dell’ospedale di Locri nell’ottobre del 2015 – e anche domenica scorsa durante la conferenza stampa dell’ex sindaco Mimmo Lucano, la prima dopo il suo rientro a Riace dopo la revoca del divieto di dimora nell’ambito del processo in cui lo stesso Lucano è imputato.
Chi scrive non era presente alla conferenza stampa per impegni personali pregressi. Per fortuna – dei lettori, soprattutto – questa testata può contare sulla preziosissima collaborazione di un fotocineoperatore come Enzo Lacopo, che ha ripreso integralmente la conferenza stampa offrendo ai lettori di Lente Locale questo documento unico, che permette – vivaddio – di concentrarsi sui contenuti esposti al tavolo dei relatori più che sulle polemiche per le campane suonate ripetutamente nella chiesa vicina allo spazio antistante la taverna di donna Rosa, sede della conferenza stampa.
E quindi, questa nostra breve esposizione dei fatti serve solo a introdurre al meglio il video di Enzo Lacopo, che pubblichiamo a beneficio di chi voglia approfondire i contenuti e conoscere i fatti, come una regola basilare del giornalismo impone.
Riace, domenica 8 settembre poco dopo le 10. La conferenza stampa si avvia con le parole di Pietro Melia, giornalista militante che ha subito sposato la causa del comitato “11 giugno” con tutta la passione mostrata nelle sue parole, in cui, più che da “falco” parla fuori da denti non risparmiando attacchi contro alcune istituzioni che a suo dire sono corresponsabili di quella che viene percepita come una persecuzione giudiziaria contro Lucano, causandone un esilio durato 11 lunghissimi mesi.
«Sarebbe bene – ha esordito Melia – che la Procura di Locri si occupasse dei tanti delitti impuniti nella nostra terra piuttosto che accanirsi contro Lucano. Chiedo altresì – ha proseguito – che si revochi il prefetto Di Bari dal ruolo assegnatogli da Salvini al coordinamento delle politiche sull’immigrazione, accertandone le responsabilità».
Melia, che ha chiesto pure la messa in onda della fiction RAI su Mimmo Lucano, ha ricordato come «Il comitato 11 giugno ha raccolto quasi 100.000 firme a favore della causa di Mimmo Lucano, e molti firmatari dell’appello risiedono al Nord, a testimonianza di come sul modello Riace sia apprezzato anche fuori da qui».
Gli ha fatto eco, aggiungendo contenuti più squisitamente politici, il leader del comitato 11 giugno Sasà Albanese, ex assessore provinciale in quota Verdi e che con Lucano condivise le esperienze giovanili nella sinistra extraparlamentare.
Dopo aver ricordato che «I firmatari dell’appello del comitato 11 giugno sono stati molto di più di quelli che hanno deciso le sorti del nuovo governo nazionale votando sulla piattaforma Rousseau» si è scagliato contro l’ex prefetto Di Bari «Vero e proprio killer dell’esperienza di Riace – ha detto – e responsabile della tendopoli di San Ferdinando. Ora – ha aggiunto Albanese – dal nuovo governo ci aspettiamo una decisa discontinuità rispetto alle politiche di Salvini che faceva prevalere la sua visione politica sovranista sull’umanità. Noi possiamo anche condividere alcuni punti programmatici di Pd e M5S, ma il comitato “11 giugno” non si sente rappresentato da questi soggetti politici e ha tutto il diritto di discutere, come farà il prossimo 28 settembre a Lamezia, con tutte quelle forze autenticamente progressiste attualmente perse in mille rivoli che possono diventare un fiume e tradursi in progetto politico e momento elettorale: dipenderà da Mimmo Lucano».
Quando prende la parola Lucano prova a ricostruire un excursus il più possibile completo e preciso della sua esperienza di volontario prima e amministratore poi, tradendo solo successivamente un certo nervosismo e un’insofferenza sicuramente causate dal forte stress patito nel corso della vicenda giudiziaria e dal conseguente esilio da Riace, fino a ingigantire piccoli fastidi, come il persistente suono delle campane o la richiesta espressa da qualche giornalista presente di un maggiore sforzo di sintesi per permettere a tutti di rivolgergli le domande. Ma tant’è.
L’esordio dell’ex sindaco è addirittura soft, quando dice che «Non cerco vendette e non serbo rancore verso alcuno. Ho sempre cercato – ha detto – di fare il sindaco con abnegazione e puntando su alcuni principi cardine, come l’acqua intesa come bene pubblico e una gestione virtuosa dei rifiuti per trasformarli in risorse. Da quando è iniziata la mia vicenda giudiziaria, i miei avvocati hanno chiesto per ben 5 volte la revoca delle misure cautelari nei miei confronti ed è arrivata solo un paio di giorni fa, nonostante la Corte di Cassazione abbia detto a chiare lettere che avevo agito secondo la legge. Ma più che la vicenda giudiziaria in sé – ha proseguito – mi brucia questo fortissimo impatto mediatico che esalta le visioni di chi vorrebbe vedermi colpevole a tutti i costi e descrive una falsa realtà solo per sostenere una tesi accusatoria. Mi tocca difendermi non solo dalle mafie, come abbiamo sempre fatto noi della sinistra extraparlamentare ma anche da certi pezzi dello Stato: a me non basta proclamarmi innocente, voglio che sia fatta piena luce sull’intera vicenda, fugando ogni dubbio, perché la mia esperienza amministrativa è stata sempre improntata all’umanità sfruttando le case abbandonate e i bonus sociali per dare un futuro ai rifugiati che scappavano da guerra e fame, attirando l’attenzione di artisti e mass media da tutto il mondo verso un paese che fino ad allora era quasi abbandonato».
Nel frattempo arriva l’ex sindaco di Rosarno Peppino Lavorato che viene fatto accomodare al tavolo dei relatori. Poco dopo le campane della chiesa iniziano a suonare, suscitando l’irritazione di Lucano che grida al complotto e alla premeditazione. Qualcuno tra il pubblico gli fa presente che i microfoni percepiscono comunque nitidamente le sue parole, ma lui fatica ad andare avanti.
Riprenderà solo dopo lo scampanio, compiendo un excursus completo sulla sua esperienza nell’accoglienza ai rifugiati «Iniziata nel 1998 da volontario dell’accoglienza, ai tempi dell’apparentemente strano connubio con l’allora vescovo di Locri-Gerace Bregantini, che invece si mostrò assai sensibile a questi temi. Insieme riuscimmo a coinvolgere la comunità sociale, dando vita a un’esperienza bellissima che ci permise di ripopolare questo paese. I progetti governativi di accoglienza vennero in un secondo momento e io ricordo benissimo il sostegno ricevuto all’epoca dall’allora prefetto di Reggio Calabria De Sena e dal capo dipartimento delle politiche sull’immigrazione Mario Morcone, grazie al quale riuscimmo a realizzare, dopo che fui eletto sindaco nel 2004 progetti di accoglienza integrati coi comuni di Caulonia e Stignano».
Tra un gesto di stizza e l’altro per il ripetuto scampanio c’è anche spazio per un po’ di autocritica «Quando – ha detto Lucano – subito dopo che la questione dell’accoglienza dei rifugiati assunse una rilevanza nazionale ci fu tutto un proliferare di associazioni impegnate in questi progetti, e non escludo che qualcuna di queste non fosse mossa dai miei principi etici, ma ricercasse, piuttosto, una fonte di guadagno. Continuavo a portare avanti i progetti di accoglienza e integrazione, garantendo un futuro ai rifugiati anche dopo la conclusione degli stessi e molte furono le rimesse di denaro in Africa perchè non potevo permettermi di fare il sindaco-sceriffo investito di compiti polizieschi di controllo sulle associazioni. Anzi, prima dell’arrivo del prefetto Di Bari fui io a chiedere delle attività di monitoraggio sui progetti che evidenziarono alcune criticità ma io non potevo fermarmi anche perchè negli anni precedenti ricevetti molte pressioni dalla Prefettura che mi chiedeva di allocare flussi sempre più ingenti di rifugiati a Riace. Riuscimmo a mantenere qui scuole e asili nido e il nostro modello di accoglienza continuava a proliferare coniugando utopia sociale e carità cristiana, tenendo lontane le mafie e occupando una novantina di addetti del posto, grazie al nostro modello di economia sociale collettiva. Il problema è sorto quando il Pd, e in particolare l’ex ministro dell’Interno Minniti, si fecero coinvolgere dalla vulgata che vedeva l’immigrazione come un’emergenza nazionale e con la speranza di prendere qualche voto in più alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 cominciarono i respingimenti nei lager libici che Minniti, invece, vedeva come porti sicuri».
Non manca un ulteriore attacco al prefetto Di Bari «Col quale – ha detto – mi piacerebbe confrontarmi, ma senza fare il “signorsì”, piuttosto richiamandolo alle sua responsabilità sull’ingiusto scioglimento del consiglio comunale di Marina di Gioiosa e sulle morti dei rifugiati nella tendopoli di San Ferdinando: lui agì con premeditazione, tagliando i fondi ai nostri progetti arrivando pure a togliere la corrente elettrica alle case dei rifugiati. Mi accusano degli affidamenti diretti nel settore dei rifiuti, ma io ho sempre lavorato non con le holding regionali del settore ma con delle cooperative sociali create in loco, che hanno anche impiegato alcuni rifugiati, creando integrazione vera».
C’è spazio anche per un’amara considerazione sugli “irregolari” come lui della sinistra extraparlamentare «Che – ha detto – siamo portatori di valori sani ma non abbiamo mai contato nulla. Quelli come noi – ha aggiunto – o vengono uccisi o perseguitati a livello giudiziario e mi sento di dare ragione a Basaglia quando diceva che l’ordine costituito non contempla l’umanità».
Nel rispondere alle domande dei giornalisti, Lucano ha chiarito che non intende candidarsi alle elezioni regionali «Perché – ha detto – penso solo a chiarire la mia posizione nel processo e a fare piena luce sull’intera vicenda» e, con riferimento a Salvini si è congedato con una battuta. «Io sono tornato a casa mentre lui è andato a casa».