«Gli elementi acquisiti nel corso della presente attività di indagine consentono di approfondire in modo proficuo il carattere della ‘ndrangheta come un’organizzazione unitaria governata da un organismo di vertice denominato “Provincia” con compiti di coordinamento tra le varie ‘ndrine». Lo scrive il gup di Reggio Calabria Filippo Aragona nelle motivazioni della sentenza del filone dell’abbreviato del maxi-processo “Mandamento Ionico” che si è concluso, in primo grado, con 35 condanne, da un minimo di 3 anni ad un massimo di 20 anni, e 6 assoluzioni che, in sostanza, confermano il quadro accusatorio rappresentato in sede di requisitoria dai pubblici ministeri Antonio De Bernardo e Francesco Tedesco della Procura Antimafia reggina.
Le condanne più elevate sono toccate ai presunti vertici delle consorterie indagate nel contesto dell’operazione “Mandamento Ionico”, che in questo caso è stato suddiviso in più parti territoriali, che hanno riguardato la città di Reggio Calabria fino all’area grecanica ionica, quindi nella zone comprese di Bova, Melito Porto Salvo fino a Palizzi, ed ancora la Locride, da Africo a Portigliola con al centro Locri.
Nelle 366 pagine della sentenza, depositata l’altro ieri, il magistrato richiama, in via generale, i procedimenti penali con i quali la Procura antimafia reggina ha, nel corso degli ultimi anni, ricostruito le dinamiche associative dell’organizzazione denominata ‘ndrangheta, con le sue strutture e le sue trasformazioni nel corso dei decenni fino ad approdare, con il processo “Crimine”, ad individuare i vertici della “cupola”. Attraverso le indagini che hanno impegnato i carabinieri del Ros di Reggio Calabria «che si rinviene – si legge – il suo asse portante in una serie di intercettazioni di conversazioni tra presenti captate all’interno dell’abitazione, in Bovalino, del boss Giuseppe Pelle, inteso Gambazza».
Il gup valorizza le indagini che hanno portato all’operazione “Reale” ma anche altre, come nel caso dell’inchiesta “Eirene” del Norm di Locri per quanto riguarda i riassetti di carattere criminoso sulla “locale di Locri” conseguenti alla «pacificazione della faida, che aveva visto contrapposti i più importanti casati mafiosi della zona, ossia quelli delle famiglie Cordì e Cataldo, nonché degli altri gruppi satelliti a queste collegate».
Nel contesto di “Eirene” il nucleo centrale attorno al quale si sono sviluppate le investigazioni è rappresentato dalle attività di intercettazione tra presenti nei pressi del “pergolato di preghiera” di Locri, dalle quali è stato possibile ricostruire “l’asset associativo” delle consorterie del posto, contestualizzare la capacità di condizionamento del tessuto economico e politico esercitato da entrambe le cosche, con riferimento anche all’acquisizione di importanti opere pubbliche.
Altri filoni di indagini sono quelli contenuti della informativa “Blu Notte” che coinvolgono altre realtà territoriali provinciali.
In sintesi ritiene il gup reggino che sulla base degli esiti operativi «deve ritenersi provata l’esistenza delle cosche in relazione alle quali si osserva anche che le risultanze investigative consentono di ritenere corretta la contestazione delle aggravanti».
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