“Nel nostro centro – spiega il dr. Massimo Martino, direttore del Centro Unico Regionale Trapianti e Terapie Cellulari – utilizziamo da un anno questa cura, con ottimi risultati che ci aiutano ad una gestione migliore. Cura che ha dimostrato non solo negli studi clinici, ma nella cosiddetta ‘real life’ (vita reale), di saper tenere a bada la malattia e di aumentare la sopravvivenza in pazienti già sottoposti a molti trattamenti e per i quali non esistono ad oggi ulteriori possibilità terapeutiche. E’ sorprendente come alcuni pazienti hanno raggiunto un importante miglioramento della qualità di vita. In particolare, rimane la gioia per uno di loro, che ci ha raccontato come era costretto a deambulare con il bastone, ed ora, dopo l’inizio della cura con belantamab, riesce ad andare a prendere a scuola il nipotino. Non a caso, a livello nazionale, oltre la metà dei pazienti (58%) ha raggiunto una risposta parziale molto buona o superiore e in alcuni casi completa. La sopravvivenza globale mediana è stata di circa 14 mesi, un risultato sorprendente”.
Per il mieloma multiplo, il secondo tumore del sangue in Italia dopo il linfoma non-Hodgkin, non c’è ancora una cura definitiva ed ogni innovazione consente di aggiungere tempo e speranza a migliaia di persone. Il mieloma multiplo è responsabile dell’1-2% di tutte le neoplasie e del 10- 15% dei tumori ematologici. Ogni anno si stimano circa 5700 nuovi casi. Ma come funziona? “Tecnicamente – prosegue il dr. Martino – è un anticorpo monoclonale ‘coniugato’, composto cioè da due molecole: un anticorpo monoclonale umanizzato (belantamab) specializzato a trovare la falla: un recettore espresso sulla superficie delle plasmacellule mielomatose, chiamato BCMA, antigene di maturazione dei linfociti B. Una volta legatosi alla superficie cellulare, belantamb entra rapidamente nella plasmacellula e “sgancia” mafodotin, un chemioterapico che blocca i processi vitali della plasmacellula, provocandone la morte attraverso un meccanismo definito di ‘apoptosi’. In senso figurato, belantamab mafodotin si comporta come un ‘cavallo di Troia’. A questa azione principale se ne affiancano altre di attivazione del sistema immunitario del paziente, che potenziano l’effetto anti-mielomatoso”.