Alla fine, la direzione generale della Rai, su proposta dello stesso direttore Alessandro Casarin, ha scelto lui su tutti gli altri sette candidati che hanno partecipato alla selezione.
Ma chi è Riccardo Giacoia?
Alle spalle tanta gavetta vera e tanta professione maturata sul campo, per strada, in giro per paesi e contrade senza mai fermarsi. Una passione per il giornalismo respirata a casa sin da piccolo e che oggi lo vede proiettato dove suo padre Emanuele Giacoia intimamente sperava che un giorno potesse arrivare. Mi piace ricordare anche che il nuovo responsabile della redazione giornalistica della Rai calabrese da domani avrà lo stesso ruolo che, in passato, ha avuto suo padre, Emanuele Giacoia, uno dei grandi protagonisti della storia del giornalismo calabrese.
Riccardo Giacoia è stato finora vice caporedattore della Tgr Calabria. Dal 2011 al 2013 ha lavorato al Tg1, dove ha seguito i più importanti avvenimenti di cronaca italiana, dal processo sulla trattativa Stato-mafia a Palermo, alla cattura del numero due della camorra Caterino (che riuscì a intervistare in esclusiva), dal terremoto in Emilia Romagna allo scandalo del calcio scommesse a Cremona. A causa delle tante e delicate inchieste sul crimine organizzato ha ricevuto più volte minacce di morte.
Prima e dopo la parentesi romana del Tg1 è stato autore di numerosi reportage sulla ‘ndrangheta, dalla strage di Duisburg alle navi dei veleni, dai traffici di rifiuti tossici allo sfruttamento dei braccianti africani nella Piana di Gioia Tauro e alla piaga del caporalato nella Sibaritide. Particolare interesse hanno suscitato le tante interviste a collaboratori e testimoni di giustizia. Per la Tgr ha curato anche inchieste in Australia, Stati Uniti, Germania, Inghilterra, Turchia per le rubriche Levante e Mediterraneo.
Ha collaborato per molti anni con la rubrica Tg2 Storie. Collabora attualmente con il rotocalco di approfondimento del Tg1 Tv7 e con Speciale Tg1.
Il nuovo direttore dei servizi giornalisti Rai in Calabria è nato a Cosenza il 7 aprile 1963, vive a Mendicino, è diventato giornalista pubblicista dal 1986 ed è giornalista professionista dall’11 marzo 1997.
Per il suo impegno professionale ha ricevuto molti riconoscimenti, tra gli altri il Premio Losardo per la Legalità 2010 e il Premio Legalità “Rosario Livatino” nel 2013, mentre nel 2011 è stato ospite del Festival del Giornalismo di Perugia per raccontare la sua vicenda di giornalista minacciato dalla mafia. Prima di entrare in Rai ha lavorato per Telespazio Calabria, che era la tv privata più importante dell’epoca.
Insomma, un giornalista televisivo completo a 360 gradi, sebbene abbia avuto da giovanissimo anche esperienze professionali importanti con Il Mattino e con la Gazzetta del Sud.
Incominciò a fare questo mestiere per caso. Era l’agosto del 1985. Io allora ero già in Rai e sapevo della sua voglia matta di scrivere qualcosa su un giornale, così una mattina lo chiamai a casa e gli proposi di scrivere alcuni pezzi di cronaca bianca per Il Mattino di Napoli, giornale per il quale allora ancora collaboravo. Prima mi rispose di no, poi qualche minuto dopo mi richiamò per telefono e mi raggiunse in Rai.
– Te lo ricordi quel giorno?
«Come potrei non ricordarlo. La mia storia professionale cominciò proprio quella mattina. Il primo pezzo che il giornale mi chiese andò bene, andò invece meno bene il secondo. Il giorno dopo, infatti, mi beccai la prima grana seria: in un campo nomadi a Lamezia Terme c’era stata una sparatoria, ma il giorno dopo l’allora capo redattore della cronaca, Gianni Campili, mi chiamò a casa e mi spiegò che non avrei più potuto lavorare con loro. Il Mattino era stato l’unico giornale italiano ad aver perso quella sparatoria.
Tutti gli altri giornali riportavano quella notizia in prima pagina. Tentai di giustificarmi e dissi che non ero stato informato da nessuno di quel fatto: in realtà avevo saputo della sparatoria ma non avevo capito quanto fosse importante informare il giornale. Ventiquattr’ore dopo, passata la sfuriata del giorno prima, mi richiamarono per chiedermi un nuovo servizio. Trascorsi così un’intera estate a descrivere le notti dei calabresi o, meglio, le notti e i bagordi dei tanti napoletani in vacanza quell’anno in Calabria. Contemporaneamente incominciai a lavorare a Telespazio Calabria. Allora facevo il “portaluci”, insomma ero il loro specializzato di ripresa. Ebbero inizio i primi servizi in voce e con essi i miei primi problemi veri. Mio padre allora era capo redattore alla Rai e ogni qual volta gli capitava di seguire le mie cose mi gridava contro: “…a pazziella mmano ai criaturi…”, in napoletano significa “il giocattolo in mano ai bambini”. Forse aveva ragione, ma lui allora era considerato un gigante dell’informazione radiotelevisiva e io ero ancora un ragazzo alle prime armi, anzi alle primissime armi».
– Come andò?
«Sapevo che la sola cosa che davvero mi interessava fare era quello che per tutta la vita avevo visto fare a mio padre. Dunque, non mi arresi. Rimasi a lavorare a Telespazio Calabria per circa dieci anni. Le luci e le lampade non erano proprio fatte per me, e allora lasciai la produzione e feci il mio primo ingresso in redazione. I primi servizi, i primi telegiornali, le prime conduzioni in video. Non fu una cosa semplice, dovevo fare i conti soprattutto con la mia timidezza, ma capii che solo provando e riprovando sarei riuscito ad arrivare fino in fondo».
– Il tuo primo vero successo?
«Il mio primo vero successo rimane legato ad un’indagine dell’Università della Calabria sulla qualità dei servizi delle Tv private in Calabria: quell’indagine mi vedeva al primo posto. Era una magra consolazione, soprattutto perché alla fine del mese bisognava pur mangiare, e dovevo farlo con quel poco, o quel pochissimo, che la Tv mi dava».
– Se ti chiedessi un bilancio di quella tua prima stagione?
«Quella di Telespazio è stata comunque un’esperienza validissima, preziosa, indimenticabile sotto il profilo professionale. In quegli studi che Tony Boemi aveva a Castrolibero mi sono fatto le ossa, e a quegli studi sono legati tantissimi miei ricordi personali. Di tanto in tanto mi capitava anche di collaborare con la Gazzetta del Sud e Il Giornale di Calabria, qualche altra volta scrivevo per la rivista istituzionale della Regione Calabria. Poi, finalmente, nel maggio 1997 gli esami per diventare giornalista professionista, ma una volta diventato professionista venni licenziato e in pratica restai per la strada».
– Immagino la delusione di tuo padre?
«Ricordo che mio padre non era più il capo redattore della Rai, era stato sostituito da Franco Martelli, e a Franco scrissi una lettera dai toni disperati. Lui si commosse e mi prese poco dopo per una sostituzione ferie. Incominciai così, era il luglio del ’97. Due anni di contratti a tempo determinato, un articolo 2 per lo sport, e poi nell’agosto del ’99 l’assunzione definitiva».
– Dovresti essere felice di come è andata?
«Oggi sono felice, la verità è questa, ma la cosa che più mi pesa è quando la gente sente il mio cognome, Giacoia, e allora immagina che io sia entrato in Rai perché raccomandato da mio padre. Niente di più falso. Il nome di mio padre mi ha aiutato molto, è vero, ma sento anche di poter dire che alle mie spalle non c’è mai stato nessun potente, nessun politico importante, solo pochi amici che mi hanno voluto bene e che mi hanno aiutato».
– Però nel giorno più solenne della tua vita professionale non posso non chiederti del rapporto che avevi con tuo padre?
«Il rapporto con il “mitico” Emanuele Giacoia? Era un rapporto bellissimo. Amavo e amo mio padre più della mia vita, lo amo quanto amo i miei figli. Per me lui è stato un mito e continua a esserlo ancora oggi che non c’è più. Con grande discrezione per lunghi anni mi ha dato dei consigli, mi ha raccomandato sempre di fare questo mestiere sul serio, con attenzione, con scrupolo, con severità professionale. Mi diceva sempre che l’imperativo di ogni cronista è curare ogni servizio, perché anche le storie più insignificanti possono avere una loro dignità, e continuamente mi ripeteva di pensare che dall’altra parte dello schermo c’è sempre “quel famoso contadino di Vaccarizzo che ogni giorno ti segue, ti ascolta, prima o poi potresti anche incontralo, e allora ti ringrazierà per essere stato chiaro, per avergli spiegato la storia della sua regione con semplicità e con modestia».
– Buoni consigli mi pare…
«Sono le regole basilari della professione che io tento ogni giorno di fare mie, e tento di farlo conservando sempre l’umiltà che ha sempre caratterizzato la storia più intima di mio padre».
– Se ti chiedessi di descrivermi il tuo carattere?
«Ti direi subito che il mio limite più grande rimane la timidezza. Quando sono davanti alle telecamere penso sempre: “Non è possibile, ma sono proprio io?”. Poi parte la sigla, e allora vado avanti per come meglio posso. Aspetta però, non andare via, devo raccontarti l’ultima: un giorno mio padre mi disse: “Mi hanno incontrato per strada e mi hanno chiesto: ma lei è il padre di Riccardo Giacoia? Non poteva farmi regalo più bello».
– Di Giacoia in Giacoia…?
«Oggi credo che lui stia più tranquillo di sempre, magari in paradiso, lui ci credeva molto, ma se potessi dirgli cosa mi è capitato qualche giorno fa immagino sarebbe felice.
A Reggio dei ragazzini mi hanno chiesto l’autografo; poi, però, mi hanno chiesto di lui. In una battuta, il vero grande Giacoia rimane lui, Emanuele mio padre …».
– Alla guida del Tg regionale più seguito della Calabria, cosa farai?
«Cercherò di raccontare questa terra al meglio. Mi sforzerò di essere al di sopra delle parti nelle analisi sommarie e complessive.
Proverò a dare voce agli ultimi di questa regione, e sono tantissimi. Proverò a raccontare i paesi, le periferie, i posti più lontani e i posti più suggestivi. In tutti questi anni ho imparato che la Calabria è una terra che non conosce i grigi, bianco e nero, rosso e nero, colori forti, contrastanti, realtà fatta di mille anime diverse, e io proverò a dar voce a tutto questo. So che la Rai che io sono stato chiamato oggi a dirigere ha anche al suo interno le professionalità giuste per raggiungere questo obiettivo, e questo mi aiuterà molto ad andare avanti. Poi sai come vanno le cose? In questo mestiere solo chi non fa non sbaglia e solo chi rimane immobile rischia di non avere colpe da pagare. Io di sicuro non resterò fermo».
Carlo Parisi: “Meritato riconoscimento
ad un giornalista di indiscusso valore”
«Un meritato riconoscimento ad un giornalista di indiscusso valore che contribuirà ad elevare ulteriormente la qualitatà dell’informazione in Calabria». È il commento del Direttore di Giornalisti Italia, Carlo Parisi, segretario generale della Figec Cisal, che, formulando al nuovo caporedattore della Tgr Rai della Calabria i migliori auguri di buon lavoro, sottolinea che «Riccardo, cronista di razza, professionista attento e scrupoloso e persona perbene, questa nomina se l’era guadagnata da tempo. E il fatto che arrivi oggi conferma, come questa straordinaria intervista di Pino Nano dimostra, che la strada percorsa è stata tutt’altro che spianata da quel mostro sacro che era suo padre Emanuele. Del quale, questo sì, Riccardo ha ereditato il carattere e le qualità che ogni giornalista dovrebbe avere». (giornalistitalia.it)
Pino Nano
ECCO TUTTI I CAPO REDATTORI CHE SI SONO SUSSEGUITI ALLA GUIDA
DELLA TGR CALABRIA PRIMA DELLA NOMINA DI RICCARDO GIACOIA