“È una relazione che riflette un’attività svolta contemperando la funzione di prevenzione dei problemi con quella propositiva, attraverso un monitoraggio costante delle realtà carcerarie calabresi, al fine di garantire l’applicazione dei principi costituzionali a tutela dei diritti individuali. Primo fra tutti l’articolo 27 della Costituzione, per il quale ‘la pena non deve essere afflittiva, ma tendere alla rieducazione del condannato ed al suo reinserimento nella società’”.

Lo ha detto il presidente del Consiglio regionale Filippo Mancuso, intervenendo all’iniziativa del “Garante regionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale” durante la quale l’avv. Luca Muglia ha svolto (a Palazzo Campanella) la  prevista  relazione annuale. “Condivido – ha aggiunto Mancuso – la forte preoccupazione per l’accentuato deficit di personale penitenziario in tutti e dodici gli istituti presenti in Calabria. Ringrazio le donne e gli uomini del Corpo della polizia penitenziaria, che si trovano ad affrontare situazioni complesse in un contesto di sofferenza e, spesso, di tensione. Carenze che riguardano anche le altre figure (professionali, tecniche e sanitarie) necessarie alla piena garanzia di tutela dei diritti dei detenuti”. Il presidente Mancuso ha auspicato “attenzione e interventi mirati, da parte delle autorità competenti, al fine di garantire il diritto dei detenuti ad avere prestazioni sanitarie dignitose, assistenza religiosa,  formazione professionale,  mediazione culturale e linguistica per gli stranieri e ogni altra prestazione tesa alla reintegrazione sociale e all’inserimento nel mondo del lavoro, nonché al mantenimento di un rapporto continuativo nelle relazioni con i familiari”. Inoltre: “C’è da valutare positivamente l’attività delle due Rems attive in Calabria, ma è evidente che da sole non siano sufficienti a smaltire le lista d’attesa delle persone socialmente pericolose. Il Consiglio regionale, – ha ricordato Mancuso – con una legge del 2022, ha colmato una lacuna che durava tanti anni, adeguando la normativa calabrese a quella dell’ordinamento penitenziario italiano, che ha consentito l’apertura in Calabria di strutture che si occupano di minori sottoposti a provvedimento penale o in esecuzione di pena”.