Armando Scuteri – gazzettadelsud.it
“Gli esami non finiscono mai” è il titolo della celebre commedia di Eduardo De Filippo. Che calza a pennello ai lavori per la ricostruzione del ponte sull’Allaro. Anche per la fiumara, che a poca distanza dalla foce, col suo argine destro lambisce l’agglomerato di Marina di Caulonia, gli esami compiuti in un susseguirsi temporale non breve – dopo gli eventi calamitosi dell’autunno 2015 e del gennaio 2017 – continuano ad avere bisogno di ulteriori approfondimenti.
I primi sancirono il via libera per la costruzione del nuovo manufatto e i lavori furono consegnati il 22 maggio 2017; si sarebbero dovuti concludere dopo circa un anno e mezzo. La loro durata, però, fu effimera. Il cantiere ben presto ammainò bandiera perché, in corso d’opera, ci si rese conto che non erano da ricostruire le pile delle due campate incrinatesi ma anche tutte le altre. L’Anas dubitando, infatti, della loro sicurezza, si avvalse della consulenza del prof. Calogero Valore, dell’Università di Palermo, che, esaminata la situazione, ne suggerì la demolizione e il rifacimento ex novo. Una situazione che stravolse ogni programma e rese necessaria una nuova progettazione. Tempi lunghi. Lunghissimi e pesanti per gli automobilisti e dei camionisti in particolar modo. Mentre tra Calabria, Caulonia e Catanzaro si susseguivano incontri e si concertavano strategie per alleviare i disagi, anche la corsia a monte del viadotto, “decise” di non poter sopportare più carichi oltre un determinato peso.
Soltanto un mese addietro si era ripartiti con il nuovo progetto. Furono effettuati i dovuti rilievi tecnici e, giustamente soddisfatto, l’ing. Giuseppe Ferrara, responsabile del coordinamento territoriale dell’Anas, confermò che «il cronoprogramma avviato, finalmente, rispetta i tempi». Solo la settimana scorsa avevamo dato notizia della prima colata di cemento destinata ad accogliere una delle pile del nuovo ponte. Ce ne scusiamo con i lettori. Si trattava soltanto di una prima colata di prova. Pare, comunque, ben riuscita. Poi più nulla.
Anzi, qualcosa sì: la chiusura del cantiere. Stando a voci non ufficiali ma molto attendili, pare che nel corso delle trivellazioni il sottosuolo abbia dato segni di cedimento. Sembrerebbe – anche in questo caso il condizionale è d’obbligo – che nelle immediate vicinanze dei punti da trivellare insista una corposa falda acquifera e che la ditta appaltatrice, per poter proseguire, avrebbe chiesto di intervenire sul progetto originale con una variante. Saranno necessari altri esami?
La gente si sente presa in giro. Fortunatamente – almeno per ora non pare ci siano intoppi – si sta procedendo alla realizzazione del guado. I lavori, almeno questi, dovrebbero essere portati a termine entro febbraio.