Gianluca Albanese

PLATI’ – C’è chi giura di averlo intravisto per un attimo, fare capolino dalle finestre dei palazzi di fronte alla chiesa a osservare, col suo sorriso sornione, decine e decine di intellettuali, colleghi giornalisti e scrittori, gente comune della sua amata Platì accorrere alla prima iniziativa pubblica in suo onore dopo dieci anni dalla sua scomparsa terrena. Sì, proprio lui. Che a un certo punto prende la sua inseparabile macchina fotografica per immortalarli, anche se nemmeno il grandangolo basta per contenerli tutti. Erano davvero tanti. Ed erano tutti per lui. Compreso il figlio Sergio e quel nipote che tanto gli somiglia.

Totò Delfino è scomparso dieci anni fa, ma oggi erano tutti a Platì per quello che sarebbe stato il suo 84° compleanno. Segno che il suo ricordo è più vivo che mai, e allora anche certi miraggi diventano realtà.

Ore 16,30. Il sole inizia a nascondersi dietro il suggestivo scenario di Pietra Cappa, ma non c’è più posto per parcheggiare nella piazzetta antistante la chiesa e il salone parrocchiale. E’ lunedì, ma qui è una giornata di festa, perché uno dei più grandi intellettuali di questa Calabria tanto vituperata, continua a vivere nel cuore e nella mente di chi ha avuto la fortuna d’incontrarlo e di conoscerlo, compreso chi scrive, che lo conobbe negli anni indimenticabili di quella magnifica esperienza editoriale che fu Calabria Ora.

“‘Nta sti cazz’i giornali vaji avanti sulu cu scrivi i ‘ndrangheta, ma tu futtitindi e continua così”; e poi “Mi raccomando il mio Platì”, alludendo alla squadra di calcio che in quegli anni si accingeva a vincere il suo campionato di terza categoria.

Sono solo alcune delle frasi, indelebili, che una delle firme più prestigiose dell’Europeo, del Giornale e di altre grandi testate rivolgeva a un cronista quasi alle prime armi come chi oggi gli rivolge questo dolce ricordo. Perché lui i giornali li leggeva per intero, e non si fermava alle firme più prestigiose, rivolgendo una parola d’incoraggiamento anche a chi sembrava relegato alle seconde linee.

Ci manca, Totò. Ci manca la sua ironia dissacrante e la sua capacità di raccontare le cose andando oltre la superficie e i cliché di chi vorrebbe imporre linee fedeli più al mercato che alla verità.

Ecco perchè oggi pomeriggio eravamo tutti lì, felici di calpestare il pavé che conduce alla sala parrocchiale di Platì, dove i suoi giovani compaesani dell’associazione “Santa Pulinara” hanno organizzato una giornata per celebrarne il ricordo.

E non è per niente casuale la decisione preannunciata dal vice prefetto De Rota, presidente della Commissione Straordinaria al vertice del Comune di Platì, di intitolargli una via cittadina.

A fare gli onori di casa è Michele Papalia dell’associazione “Santa Pulinara”, che quando Totò Delfino morì aveva poco più di vent’anni, giocava nella squadra di calcio e solo qualche anno dopo sarebbe diventato avvocato e apprezzato scrittore di “Caci Il brigante”.

Dice in premessa che «Il giornalismo esiste solo se è capace di andare contro il potere e spezzare le catene di comando della società, proprio come fece Totò Delfino, grande meridionalista che non aveva un prezzo, e quindi non aveva nemmeno padroni».

L’occasione è buona per fare una riflessione a sfondo garantista «Perché – ha spiegato Papalia – la ‘ndrangheta esiste ed è uno dei principali mali della nostra terra, ma se le province di Reggio Calabria e Catanzaro sono in testa alle statistiche che contano i casi d’ingiusta detenzione, significa che qualcosa non va, e Totò Delfino ha sempre speso una parola a favore degli ultimi. Dopo dieci anni di silenzio ufficiale – ha proseguito – ricordarlo oggi davanti a così tanta gente vuole dire tante cose e più che un evento è una festa di compleanno».

Un’ultima riflessione è rivolta all’associazione Santa Pulinara, che ogni giorno fa ricerca storica e opera nella diffusione della cultura, partendo dai ragazzi delle scuole dell’obbligo, il miglior metodo – a nostro avviso – per costruire una società migliore. «Non abbiamo contributi – ha detto Michele Papalia – ma senza soldi riusciamo lo stesso a cantare messa, perché crediamo in quello che facciamo».

La moderatrice Maria Teresa D’Agostino, anch’ella colonna di quella redazione sidernese di Calabria Ora ai tempi di Totò Delfino, ha ricordato che «Rappresenta una straordinaria figura di riferimento, intellettualmente onesto e dirompente, per questo è una gioia essere oggi qui insieme alla sua famiglia».

Accanto a lei lo scrittore Mimmo Gangemi, aspromontano come Totò «Che conobbi – ha detto – nei primi anni ’70 quando era assessore provinciale alla Cultura. Diventammo subito amici perché accomunati dalla comune radice di uomini di montagna, che non si estirpa nemmeno quando ci si trasferisce al mare. Quel mare al quale abbiamo sempre voltato istintivamente le spalle, considerandolo alla stregua di una macchia gli sullo sfondo. Totò – ha proseguito – fu un grande narratore più che un cronista, e un grande meridionalista capace d’infrangere quel muro di pregiudizio che qualcuno decise di erigere contro la nostra terra. Lo stesso Feltri, suo direttore, riuscì a comprendere la nostra terra guardandola con gli occhi di Totò, a differenza di Giorgio Bocca che continuò a dire e a scrivere panzane inenarrabili, perché la ‘ndrangheta c’è, eccome, ma ingigantire questo fenomeno spesso porta a ingigantire stellette e carriere».

Parole forti, le sue. Appena mitigate da quelle di Maria Teresa D’Agostino che ha ricordato altresì l’impegno di Delfino per la tutela dell’ambiente.

Dolce, tenerissimo il ricordo che ne ha fatto Paride Leporace, direttore della Lucana Film Commission e fondatore (e direttore) di Calabria Ora, che ha detto in premessa che «Nelle parole di Michele Papalia c’è il senso della battaglia condotta da Totò che per me era come un padre. Amava dichiararsi fratello dell’asino perché la montagna condizionò il suo essere e la sua produzione bibliografica. Lo incontrerai per la prima volta quando, da cronista imberbe, seguii al tribunale di Palmi il processo a carico di Giacomo Mancini. Complice la sua ipoacusia, mi chiedeva spesso cosa stessi annotando nel mio taccuino, e solo il giorno dopo scoprii la sua cronaca dell’udienza che era un vero e proprio pezzo di letteratura. Fu definito un libertino, ma per me fu anzitutto un libertario e uno dei massimi esponenti del New Journalism che coniugava giornalismo e letteratura. Quando fondammo Calabria Ora dopo la dolorosa scissione nel Quotidiano, lo informai della mia scelta, e non ebbe remore a dirmi subito che: ««Vengo anch’io, perché per me tu sei come Feltri: ti seguo ovunque», e fui orgoglioso di fregiarmi della sua collaborazione e di quella di Pasquino Crupi, due eretici capaci di affrontare certi argomenti in maniera diversa».

Non manca un richiamo al dualismo tra Vittorio Feltri e Giorgio Bocca, accennato da Gangemi.

Leporace ricorda che «Feltri è indubbiamente un uomo libero, mentre Bocca era solito scrivere sulla scorta di tesi precostituite, ma Totò stimava e rispettava entrambi, tanto da regalarmi tutti i libri di Giorgio Bocca. Forse – ha aggiunto Leporace – posso rimproverare a Feltri il fatto di non averlo mai commemorato sul suo giornale dopo la sua scomparsa. Fu Totò Delfino ad accompagnare suo figlio Mattia Feltri durante i suoi primi passi nel mondo del giornalismo. Fu il primo in assoluto a scrivere della trattativa Stato-mafia e a dire che la Questione Meridionale è nata in Aspromonte. In questo tempo difficile per il giornalismo e la società intera, uno come lui non dev’essere dimenticato».

Ironico, graffiante e originale il ricordo dello scrittore Mario Nirta, che ha detto che «Nonostante la mia ritrosia iniziale dovuta alla grande considerazione che avevo di lui, fui moralmente obbligato a dargli del tu. Amava dare il nome ai treni che passavano e, come la Vecchia Romagna, la sua presenza creava un’atmosfera, vista la sua ironia bonaria. Fu compagno di scuola, nella mia San Luca, del compianto padre Stefano De Fiores e riusciva a essere goliardico anche quando parlava dei capibanda come tale “mastru Ciccio”. Le sue opere andrebbero lette nelle scuole, perché la letteratura calabrese non può essere solo Alvaro, La Cava e Perri. Era uno scrittore coi “parandranguli” in una cultura calabrese spesso fatta di eunuchi».

Quindi, proprio la moglie del compianto Totò ha proclamato il vincitore della prima edizione del premio di giornalismo e letteratura intitolato alla memoria di Totò Delfino  che si è detta felice dello spirito della manifestazione che è stata un gran bel ricordo e non una mera orazione funebre di un uomo che sapeva parlare degli ultimi e delle persone più umili, ed è giusto che non si parli solo della sua Platì come terra di ‘ndrangheta ma anche di un paese con tante persone comuni di valore, non ultimo l’operaio che si spacca la schiena per mantenere gli studi universitari dei propri figli.

Ad aggiudicarsi il premio è stato il direttore editoriale del settimanale free press “Riviera” Ilario Ammendolia, che ha definito Totò Delfino «Un intellettuale non organico che conobbi negli anni ’70 da consigliere provinciale, in quella Reggio con ancora le bombe fumanti dei “Moti” e in cui si bruciavano in piazza i pupazzi di Misasi, suo riferimento politico. Sono orgoglioso di ricevere questo premio nella sua amata Platì – ha proseguito Ammendolia – per la quale mi sono sempre speso per rivalutarne l’immagine, anche dopo alcuni articoli di stampa piuttosto discutibili, tanto che una volta, da presidente del comitato esecutivo di AssoComuni, portai qui l’allora direttore di Calabria Ora Piero Sansonetti per fargli vedere coi propri occhi quella realtà così vituperata da un articolo uscito sul giornale che dirigeva, tanto che corresse subito il tiro. Oggi – ha concluso – la mafia e una certa antimafia spesso si danno la mano, perché interdipendenti e contrari al popolo meridionale».

Ne è seguito un lungo, partecipato e appassionato dibattito che si è protratto fino all’ora di cena, al termine di un gran bel pomeriggio, che però non vuole e non può rimanere fine a sé stesso: gli insegnamenti di Totò, infatti, rimangono nella vita di tutti i giorni, nell’attività di associazioni come Santa Pulinara e ogni qualvolta chi come noi ha condiviso il medesimo percorso professionale, si accinge a scrivere un articolo, badando bene di obbedire soltanto alla verità.

di Gianluca Albanese -lentelocale.it