R. e P.
Pazzano, inverni del passato, scaldati magicamente do braschjieri da nonna.
Inverni rigidi, quelli degli anni 70, quando esisteva la diversità delle stagioni, in ogni inverno nel borgo reggino di Pazzano, arrivava puntuale la neve, con la sicura e gustosissima scirubetta che la nonna non ci faceva mancare, in dei bellissimi pomeriggi che dopo aver fatto i compitini di scuola ,quando il senso e l’importanza della famiglia avevano un valore sacro. Pazzano, un piccolo borgo nel reggino, confinante con le ricche e bellissime Stilo, patria del Tommaso Campanella, cassaforte di ricchezze storico artistiche e culturali e di Bivongi, patria di ottimi vini e” casa” del monastero greco ortodosso di S. Giovanni Therestis e preziosamente custodito e incastonato fra monte Stella e monte Consolino.
Un tempo passava il camioncino che a gran voce con un semplice microfono, recitava” arrivau u carvuni d’ilici di la Serra”, traducendo voleva dire (pcl), è arrivato il carbone di leccio di Serra S. Bruno, dove esistevano tantissimi identitari produttori di carbone. Era un richiamo al calore delle origini, l’unica materia prima, fonte di calore, per le piccole abitazioni, prive di camino. Si compravano dei sacchi di juta color marrone scuro, “tinteggiati “di nero tonalità carbone, che si conservavano in cantina o in sottoscala asciutti per attingere all’occorrenza.
A che cosa serviva il carbone? L’allora l’oro nero dei poveri, era il prezioso materiale combustibile che ci scaldava nei freddi inverni, alimentando il mitico BRASCHJIERI. Un rito per la nonna prepararlo e una grande attrazione per noi bambini, partecipare aiutandola a mettere qualche manciata di nuozzulu do troppitu per agevolarne la combustione della fiammella soffiandole sopra con un vecchio cartone, cercando di aiutare la fiamma a far ardere il carbone. Operazione che si faceva supa u mignanu, il classico pianerottolo, di ogni abitazione del borgo, dove tutte le donne al solito orario, si salutavano, operando tutte verso lo stesso obiettivo , fara u braschjieri, chi non aveva il pianerottolo , portava u braschjieri , nella sottostante piazza Sergi ed era occasione per socializzare, scambiando qualche chiacchierata , perla di socialità , spesso arricchente di dolciumi e pietanze che si preparavano specialmente nel periodo antecedente alle festività natalizie, dove esisteva un vero e proprio baratto delle specialità che si cucinavano. TORNARE indietro nel tempo, “mantugandu “qualche ricordo per capire da dove proveniamo, per non cancellare mai le nostre origini, la nostra identità, dove quel classico e umile braciere , teneva tutti uniti nel calore del cuore , calore che non gela mai le nostre profonde radici , stesso che profumava di essenza di arancio o di mandarino, prodotto dalle bucce dei frutti che i nostri nonni mettevano vicino le braci , per profumare ambiente .Tutti attorno al braciere , era il cuore della casa , spesso si metteva la pignata con legumi per cucinarli lentamente , questo succedeva nei bracieri più grandi , che potevano scaldare sei/ otto persone sedute attorno. Tempi passati che oggi sembrano tornare, in questa fase di criticità e costi altissimi delle materie prime combustibili per riscaldamento, nei nostri borghi si ricominciano a vedere queste scene, questi simboli , al pari di un sogno che si rivive in diretta in una strana macchina del tempo reale che ci riporta nel presente nel passato , specchiandoci per come eravamo e per come siamo, riflettendo che la rincorsa al progresso , alla solidità economica e sociale , di sicuro ci ha giovato e nessuno vorrebbe metterla in discussione, ma di sicuro da un lato ci ha arricchito di futilità e dall’altro ci ha impoverito dei sani principi di un tempo che scaldavano il cuore nei rapporti delle comunità , non solo con il prezioso braschjieri della nonna che riuniva tutta la famiglia , davanti ad una ricca zuppa di ceci, qualche tozzo di pane abbrustolito prodotto nel forno a legna con la propria farina di grano senatore cappella e condito con olio delle proprie olive carolee che, nella povertà e nella semplicità, ci arricchivano immensamente.
Al mio paese natio…
Gianpiero Taverniti