È stato assolto Domenico Berdj Musco accusato di aver ucciso lo zio, il barone Livio Musco.

La decisione è della Corte d’Assise di Palmi. Nel processo si erano costitute parti civili una delle figlie della vittima, Elena Musco, assistita da Antonino Aloi del foro di Reggio Calabria, e la sorella Maria Ida Musco, assistita da Federico Federico del foro di Napoli.

All’esito della camera di consiglio, la Corte, accogliendo in pieno le argomentazioni rassegnate nell’arringa difensiva dall’avvocato Antonino Napoli, ha quindi assolto con formula ampia Berdj Musco.

Il processo ha avuto grande risonanza mediatica, visto che Livio Musco era il figlio secondogenito del Generale di Corpo d’Armata Ettore Musco, uomo che ha ricevuto la Croce di Cavaliere dell’Ordine Militare d’Italia e della Legion of merit dagli Stati Uniti d’America.

Le indagini sulla morte del barone, coordinate dalla Procura della Repubblica di Palmi, sono partite dopo la sua morte, avvenuta la sera del 23 marzo 2013  quando il fratello Giuseppe Musco e il nipote Berdj Domenico lo hanno trovato sanguinante seduto sulla poltrona dello studio.

Sono state tre le ipotesi seguite dagli inquirenti. La prima è stata scartata e collegava l’omicidio a un movente di natura passionale che avrebbe riguardato una presunta e mai dimostrata relazione tra la vittima e una delle operaie dell’azienda agricola.

Una seconda tesi investigativa collegava l’omicidio ai forti contrasti interni alla famiglia, e maturati in relazione alla gestione dell’ingente patrimonio immobiliare ereditario di cui la stessa disponeva.

Una terza ipotesi, quella più accreditata dagli inquirenti, riconduceva l’assassinio alla mancata restituzione di un prestito che il barone aveva ottenuto da Teodoro Mazzaferro qualche anno prima.

Concluse le indagini preliminari, il pm ha richiesto il rinvio a giudizio di tre indagati: Teodoro Mazzaferro, Ruggiero Musco e Berdj Domenico Musco questi ultimi rispettivamente fratello e nipote della vittima.

Prima della celebrazione dell’udienza preliminare Mazzaferro, sospettato di essere stato autore materiale dell’omicidio, è morto per cause naturali, così l’unico imputato del delitto di concorso in omicidio rimaneva Domenico Berdj.

Ruggiero Musco, accusato di porto e detenzione di arma, all’udienza preliminare ha invece optato per il giudizio abbreviato ed è stato assolto.

Berdj invece ha scelto il rito ordinario e, pertanto, è stato rinviato a giudizio davanti alla Corte di Assise di Palmi.

Fino dalla sera stessa dell’omicidio, Berdj Musco, sentito dai Carabinieri della Compagnia di Gioia Tauro, ha raccontato che, mentre si trovava nella sua camera a giocare al computer, di non aver sentito alcuna esplosione di colpo d’arma da fuoco ma solo un rumore che ha poi associato ad un mobile spostato o allo sbattere di finestra.

È stato sottoposto al prelievo stub da parte dei RIS che ha dato esito positivo essendo stata rinvenuta sullo stesso una particella GSR, univoca dello sparo, sul prelievo effettuato sulla mano e guancia destra; una particella GSR su quello effettuato sulla mano e guancia sinistra e due particelle sullo stub eseguito nelle narici e nelle orecchie.

Gli inquirenti hanno quindi ipotizzato che Musco fosse presente nello studio nel momento dell’esplosione dei colpi d’arma da fuoco o, addirittura, che potesse esser stato lui stesso a sparare.

L’istruttoria dibattimentale è stata articolata e complessa tanto che sono stati escussi oltre trenta testi: sul banco dei testimoni si sono infatti avvicendati i militari della Compagnia dei Carabinieri di Gioia Tauro che hanno svolto le indagini, i sanitari del 118 intervenuti in soccorso del barone Livio Musco, gli operatori dei RIS di Messina, il consulente tecnico del pm Avino che si è occupato degli accertamenti sul PC dell’imputato, le parti civili, gli operai del barone Musco, i figli della vittima, il fratello Giuseppe, il nipote Federico Adolfo Musco ed il consulente tecnico della difesa, Felice Nunziata.

L’imputato ha confermato la ricostruzione che aveva fornito agli inquirenti in sede di indagini preliminari pienamente riscontrata dallo zio Giuseppe Musco.

Dal dibattimento sono emersi dissidi interni alla famiglia Musco, maturati in particolare nelle relazioni tra fratelli e sorelle, in ordine alla gestione dell’immenso patrimonio immobiliare che costituiva oggetto di alcuni lasciti ereditari, all’epoca dei fatti, indivisi e tra essi quelli del Generale Musco Ettore.

Inoltre l’arma del delitto, una pistola cal. 7,65, non è mai stata trovata. Non è mai emerso un movente che abbia potuto spingere l’imputato a uccidere lo zio. Tuttavia il legale è riuscito a presentare prove circa l’innocenza del proprio assistito.

Già gli operatori del RIS di Messina hanno attenuato la portata indiziaria dell’esame stub spiegando come l’esito positivo dei prelievi poteva dipendere dal fatto che l’imputato era entrato in contatto con le particelle GSR in sospensione (“nuvola GSR”) sprigionatesi dall’esplosione di due colpi d’arma da fuoco nello studio del Livio Musco, quando insieme allo zio Giuseppe erano entrati nello studio per soccorrere il barone, facendolo sdraiare a terra secondo le indicazioni che gli erano state fornite dal centralino del 118 chiamato dallo stesso imputato.

Fenomeno, quello della sospensione delle particelle GSR che, secondo un recente studio della BKA tedesca può durare anche oltre tre ore dopo lo sparo.

Il consulente della difesa, Felice Nunziata, ha precisato che proprio l’esiguo numero delle particelle GSR rinvenute nelle narici o nelle orecchie dell’imputato rappresentava, invece, la prova del fatto che certamente Berdj Musco non si trovava nello studio del palazzo al momento dell’esplosione dei due colpi d’arma da fuoco che avevano attinto il barone giacché le particelle GSR generatisi all’esito del deflagrare dei predetti colpi e che certamente avrebbe inalato l’imputato o si sarebbero depositate nelle orecchie o nelle narici dello stesso sarebbero dovute essere presenti in quantità molto più elevate rispetto al dato emergente dall’esame stub.

Avino, consulente informatico del P.M., nell’ambito del controesame svolto da Napoli, ha poi precisato che nell’ora dell’omicidio, tra le 18:57:55 e le 19:03:49, l’imputato stava giocando al pc, come risultava dall’orario dello spegnimento del pc, chiuso manualmente.

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