L’ospedale di Locri: come ce lo hanno descritto e com’è. Proviamo a comprenderlo con chi ci lavora da quasi vent’anni. Il dottor Luigi Brugnano di anni ne ha 52, ed è dirigente medico nel reparto di Chirurgia. Sposato, ha due figli di 12 e 9 anni.
Dottor Brugnano, prima il suo ospedale è stato bollato come un fatiscente luogo di malaffare e malasanità, adesso l’Azienda sanitaria sua datrice di lavoro è stata ufficialmente etichettata come un covo di ndranghetisti. Lei è universalmente conosciuto come un eccellente chirurgo e una persona perbene. Come si sente?
«Mi auguro che chi ne ha il dovere accerti o smentisca tale condizione una volta per tutte, soprattutto assicurando i colpevoli alle giuste pene, e spero anche che dai nostri camici possa essere cancellato questo colore infamante che ci è stato colato addosso. Io lavoro all’ospedale di Locri per mia scelta. Mi sono trasferito qui dal Piemonte, dopo esperienze lavorative in grandi ospedali e in equipe specialistiche sia in Italia che all’estero. L’avevo già frequentato durante gli anni degli studi universitari e dunque la mia scelta è stata del tutto consapevole. Ho pensato che avrei potuto mettere il mio bagaglio culturale e la mia esperienza al servizio della gente della mia terra, pur sapendo che mi sarei confrontato con un contesto sociale estremamente difficile. Dopo venti anni qui, non mi sono pentito delle mie scelte, ma oggi mi sento avvilito ed offeso da quest’aura negativa che ci è stata calcata addosso a suon di denigrazioni generalizzate, che hanno asfaltato ogni sforzo fatto sinora per dare dignità a una professione già di per sé umile. In ogni reparto di questo ospedale sono quotidianamente seguiti pazienti con patologie anche molto gravi con eccellenti esiti. Nel mio reparto, ad esempio, operiamo con standard ottimali patologie di diversa gravità, comprese quelle oncologiche che rappresentano un importante parte del nostro impegno quotidiano e registriamo anche mobilità attiva per alcuni specifici interventi».
Vi portano pazienti anche da fuori, dunque. Però concordando questa intervista, lei mi ha detto testualmente: domani non so se potrò, ho un turno di 24 ore. Anche conoscendo le paurose carenze d’organico di cui l’ospedale soffre, non ero sicuro di poter credere alle mie orecchie. Ci spieghi, per favore.
«Da quando è stato imposto un indiscriminato blocco delle assunzioni ci siamo trovati ad assistere a un progressivo assottigliamento dell’organico a causa del quale, ormai da diversi anni, siamo costretti a turni più che massacranti al fine di garantire i servizi del reparto di Chirurgia, in totale difformità dalla normativa vigente sull’orario di lavoro, senza alcuna incentivazione ma anzi trascinando anche le nostre famiglie in questo sacrificio. Al nostro organico mancano almeno 5 dirigenti medici, 12 infermieri e 3 operatori socio-sanitari, oltre che 20 letti, barelle, sedie a rotelle, ecografi e dispositivi medici il cui approvvigionamento è lento e farraginoso».
Lei si è giustamente indignato, e noi della Gazzetta lo abbiamo messo in rilievo, per la sala operatoria fatiscente mostrata dalle “Iene” e ha diffuso le foto delle sale operatoria, perfettamente a norma, in cui lei ha operato migliaia di pazienti, compresi il suo primario e persino suo figlio. Ristabiliamo la verità ad ogni livello: in che condizioni svolge il suo lavoro?
«Io ho sentito il dovere di precisare che il servizio trasmesso da “Le Iene” non era veritiero e aveva procurato un ingiustificato allarme, facendo intendere artatamente che gli interventi chirurgici venivano effettuati in un ambiente inadatto, peraltro con il censurabile avallo di un primario che non avrebbe mai dovuto prestarsi a tale voluto equivoco. Mi è parso doveroso garantire ai pazienti che le sale operatorie sono ben altra cosa e che, in ogni caso, pur senza negare le evidentissime criticità del nostro ospedale, nessuno di noi avrebbe mai potuto esporli a rischi derivanti da tali disfunzioni. Le nostre sale operatorie sono dotate di un livello tecnologico sufficiente a garantire in totale sicurezza gli interventi necessari per le patologie che comunemente riscontriamo. Abbiamo più volte rappresentato all’Amministrazione la necessità di adeguare a tale standard le altre sale operatorie di cui è dotata la struttura con l’esigenza di acquisire strumentazioni di primaria importanza, alcune delle quali necessarie alla cura di “big killer”, come ad esempio il tumore della mammella che nella nostra Provincia ha una incidenza particolarmente elevata. Su tali argomenti confidiamo nella sensibilità ed oculatezza dell’attuale gestione commissariale auspicando che si possa al più presto finalmente dare avvio alle opere di ristrutturazione, ormai non più procrastinabili, finanziate già da oltre un decennio con circa 20 milioni di euro inspiegabilmente ridottisi negli anni e che rischiano di esser del tutto persi per il mancato inizio dei lavori».
Uno dei temi che ho sempre trovato più allucinanti occupandomi delle vicende dell’ospedale di Locri è la questione della catena dell’emergenza-urgenza interrotta o non garantita. Ortopedia chiusa a singhiozzo, laboratorio di analisi con orari d’ufficio, soprattutto radiologia chiusa nei weekend. Lei non potrebbe mai operare un paziente senza conoscere i suoi valori o aver davanti una Tac o una Risonanza magnetica. E per giunta si sa che a Locri la Tac è vecchia e spesso guasta, e la Rm non esiste proprio. Che senso ha tenere un ospedale aperto in queste condizioni?
«La disfunzione di alcuni servizi “vitali” quali la radiologia e il laboratorio analisi sono stati ripetutamente segnalati da noi alla direzione aziendale. Ci sono stati momenti in cui abbiamo garantito le emergenze, particolarmente in caso di politraumi e patologie tempo-dipendenti, assumendoci responsabilità che ci hanno portato a mettere in atto metodiche oggi impensabili pur di garantire la vita ai pazienti e dunque senza mai interrompere la catena dell’emergenza-urgenza. È vero, oggi non è accettabile operare in assenza di strumenti diagnostici di secondo livello ma senza l’ospedale, quale sarebbe il danno per la collettività? È ovvio che a tali disfunzioni si debba in ogni modo porre rimedio ma non può questo essere pretesto per ridimensionamenti o addirittura chiusure dell’ospedale che più volte sento ventilare, ma che non ritengo possa essere in discussione».
Un suo collega ai microfoni delle Iene ha detto chiaramente: questo è un ospedale di criminali. Dall’interno, qual è la sua percezione del livello di malaffare e di burocrazia malata che lo affligge? Con cosa vi scontrate quotidianamente?
«Il contesto lavorativo non è certamente semplice e le difficoltà sono numerose. Io stesso e tanti colleghi abbiamo subito aggressioni, danneggiamenti ed intimidazioni, senza dimenticare che in questo nosocomio si sono perpetrati rapimenti ed efferati omicidi di stimati professionisti, dediti ai pazienti. È singolare che in decenni non sia mai stato messo in atto neanche un semplice controllo e ridimensionamento dei numerosi accessi alla struttura, come peraltro avviene in tutti gli altri nosocomi d’Italia e che in tale contesto non si sia potuto mantenere il posto fisso di polizia ed un servizio efficiente di vigilanza».
Dottor Brugnano, adesso l’Asp di Reggio è commissariata, e la ministra Grillo ha lasciato intendere l’intenzione di metter mano a un’operazione di risanamento a tutti i livelli. Quale pensa possa essere un corretto modo di procedere per l’ospedale in cui lavora? Quale dovrebbe essere la scala di priorità da seguire?
«Non è la prima volta che l’azienda viene sciolta per infiltrazioni mafiose. In questi giorni, a parte un innalzamento del livello delle difficoltà quotidiane, per la paralisi della già lenta e stentata macchina burocratica che a tali eventi consegue, non ho riscontrato sinora alcun cambiamento. Il ministro della Salute ha reputato opportuno procedere all’emanazione di un decreto ad hoc di cui allo stato attuale non si conosce ancora il contenuto. È auspicabile che tale decreto preveda misure straordinarie ed eccezionali per fronteggiare la grave situazione finanziaria e gestionale che condiziona qualsivoglia futura buona amministrazione, poiché sfido qualsiasi manager a lavorare in assenza di risorse umane ed economiche e senza neppure le dovute pianificazioni finanziarie. L’apparato amministrativo necessita di una significativa implementazione e di un adeguato input, poiché da esso dipende la possibilità di chi gestisce la parte sanitaria di poter rispondere ai bisogni di salute dei cittadini. Oltre queste considerazioni mi auguro che il Comitato dei Sindaci decida di appropriarsi finalmente del ruolo che la legge gli attribuisce in materia di programmazione sanitaria (L. 502/92 art. 3 bis comma 7) superando la fase delle sterili manifestazioni di piazza e degli scoop scandalistici per passare a una concreta vigilanza sul diritto alla salute dei propri cittadini ed a proposte concretamente risolutive dello stato di crisi. Forse, se i sindaci avessero esercitato per tempo i propri doveri in tal senso, a rischio anche di mettersi contro le rispettive parti politiche, non saremmo arrivati a questo sensazionalismo, rivelatosi così infamante e deleterio. Finché si parlerà male della struttura ospedaliera al solo scopo di additare responsabilità altrui, perpetrando l’atavico pianto greco che è retaggio delle nostre origini culturali, l’unico risultato che si riuscirà ad ottenere sarà rendere ancora più arduo il nostro già difficile lavoro».