Il gip di Reggio Calabria, Vincenzo Quaranta, ha deciso di non accogliere la richiesta d’arresto da parte della Procura per Giuseppe Falcomatà perché ci sono dei dubbi che l’allora candidato e attuale sindaco del Pd fosse consapevole delle “ragioni mafiose” che avrebbero mosso la raccolta dei voti da parte di Daniel Barillà, definito nel capo d’imputazione “collaboratore del capo cosca e suocero Domenico Araniti”. “E’ ben vero che si registra una sospetta inversione nel rapporto Falcomatà-Barillà tra il primo e il secondo turno elettorale, allorquando il candidato sindaco intensificava le relazioni con il grande elettore e non aveva più remore ad affiancarselo direttamente nella campagna elettorale, a cagione della necessità di accumulare il consenso decisivo al ballottaggio- è il ragionamento del magistrato -. Tuttavia, questo dato conferma, indiziariamente, la sussistenza del sinallagma posto a base del patto elettorale, ma è ancora insufficiente per dedurre, con la gravità indiziaria richiesta per l’applicazione di una misura cautelare, la consapevolezza in capo al Falcomatà delle ragioni mafiose, poste a base della capacità di raccolta del consenso sul territorio da parte del Barillà. Per tali ragioni, il tema di prova dell’elemento psicologico in base al quale Falcomatà stipulava il patto elettorale con Barillà, non ha ancora raggiunto la maturazione necessaria a giustificare, anche per lui, la richiesta cautelare, proposta, invece, a carico di Neri e Serra”.

Il giudice si sofferma proprio sulla differenza di trattamento tra Falcomatà e i candidati Giuseppe Sera (Fratelli d’Italia) e Giuseppe Neri (Pd), per i quali è stato chiesto e ottenuto l’arresto per voto di scambio politico-mafioso. “La scelta riposa sul differente gradiente probatorio apprezzabile in relazione alla tre posizioni menzionate, nel pur convergente orientarsi verso la ricerca e lo sfruttamento del sostegno elettorale che Daniel Barillà garantiva loro in qualità di grande elettore, capace di far convergere sui candidati un numero significativo di voti nell’area geografica tra i quartieri di Sambatello e Gallico. L’ulteriore dato comune che caratterizzava i tre candidati era la conoscenza del legame di affinità che legava il Barillà alla famiglia Araniti, la cui universale fama, negli ambienti reggini, quale espressione della ‘ndrangheta di Sambatello (specie in relazione alle vicende processuali dello storico boss Santo Araniti, attualmente ristretto all’ergastolo e in regime di 41 bis )è circostanza che può ritenersi pacifica. Che Barillà fosse affine di Domenico Araniti poi, rientrava nella sicura consapevolezza di tutti e tre i citati candidati alla luce della intimità relazionale (sia pure meno intensa proprio per il Falcomatà) che ne caratterizzava i rapporti con il Barillà. Tuttavia, mentre in relazione a Neri ed a Sera si hanno chiare e dirette evidenze (alcune, peraltro, provenienti dalla viva voce degli stessi) della piena consapevolezza di entrambi in ordine alla decisiva influenza che Domenico Araniti – fratello del citato Santo e vertice dell’omonima cosca – aveva per la capacità di raccolta del consenso a loro favore, da parte del Barillà, su quei territori, la prova di una simile consapevolezza in capo al Falcomatà non è sufficiente”.

giornaledicalabria.it

Nutro piena fiducia nella Magistratura“- così Giuseppe Falcomatà ai microfoni di ReggioTv a poche ore dalla vicenda che ha fatto tremare nuovamente la politica di Reggio Calabria.

Ho appreso questa mattina di essere indagato nell’inchiesta avviata dalla Procura di Reggio Calabria -prosegue il primo cittadino reggino- come è già successo in passato, chiarirò nelle sedi opportune quanto emerso, ho piena fiducia nella magistratura“.

Le persone mi conoscono e conoscono la mia onestà. Intendo continuare a svolgere il mio compito proprio sui principi di onestà, da sempre al centro del mio modo di operare in politica”- conclude.