Ventisei persone – tra cui un cubano, due ecuadoriano e quattro di albanesi – sono state arrestate stamani dalla Guardia di Finanza di Imperia nell’ambito di una indagine, chiamata in codice “Ares 2021”, coordinata dalla Dda del capoluogo ligure.
In 23 sono finiti in carcere e tre ai domiciliari, mentre diciassette degli indagati sono accusati di far parte di una associazione a delinquere diretta da esponenti della famiglia De Marte-Gioffrè, originaria di Seminara, nel reggino, collegata alle cosche di ‘ndrangheta della Calabria, ma da anni radicatasi nella zona di Diano Marina ed operativa nella provincia di Imperia sin dal 2020.
Secondo gli investigatori avrebbe gestito l’acquisto, la coltivazione, il trasporto, la rivendita e le cessioni di cocaina, hashish e marijuana.
Il gruppo, inoltre, avrebbe avuto a disposizione varie abitazioni appartenenti ai presunti componenti dell’associazione ed utilizzate per le riunioni operative degli associati durante le quali si prendevano le decisioni sugli approvvigionamenti di stupefacente, per le trattative con i fornitori e gli acquirenti.
Le stesse sarebbero state utilizzate anche per custodire, confezionare e cedere la droga, per l’organizzazione dei viaggi per l’acquisto dello stupefacente e per la coltivazione di piante di marijuana.
A disposizione degli indagati anche delle autovetture appartenenti agli associati o noleggiate appositamente per trasportare la droga, che in alcuni casi veniva caricata anche su autobus di linea che viaggiavano sulla tratta Reggio Calabria-Ventimiglia.
Si è poi scoperto che i presunti associati utilizzassero dei criptofonini per le comunicazioni tra di loro o per la consegna del denaro e per il ritiro dei pacchi contenenti lo stupefacente.
Gli inquirenti sostengono dunque che l’organizzazione fosse “caratterizzata dall’agire con modalità ritenute riconducibili alle organizzazioni mafiose”, attraverso le quali avrebbe affermato il proprio controllo sui traffici di stupefacenti nell’area di Diano Marina e dei comuni limitrofi, imponendo il suo monopolio nel traffico di droga con la violenza e le minacce – a volte anche a mano armata – ed evocando proprio il nome della famiglia De Marte-Gioffrè per costringere gli acquirenti a pagare la droga acquistata.
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