A Quarta Repubblica, su Rete 4, l’ex governatore della Calabria Mario Oliverio è stato ospite di Nicola Porro, ripercorrendo la sua storia. “Erano le ore 7:30 del 17 settembre 2018: si presentano a casa mia gli agenti della Guardia di Finanza per notificarmi un provvedimento cautelare, ovvero un obbligo di dimora nel mio Comune di residenza, San Giovanni in Fiore. Non potevo uscire da lì”, confessa l’ex Governatore. “Mi contestano un abuso d’ufficio per una gara d’appalto per impianti di Sci sulla Sila effettuata nel 2014, ma io allora non ero Presidente di Regione. Sono diventato Governatore il 10 dicembre 2014, mentre l’appalto era stato nella Primavera precedente. Poi, successivamente, il 24 dicembre mi contestano la corruzione. Se c’era la mafia di mezzo? Assolutamente no, c’era l’impresa – con la quale non avevo avuto mai contatti – a cui veniva contestato un rapporto con il clan Muto di Cetraro. Mentre la GdF mi contestava l’abuso d’ufficio, nello stesso momento il mio autista mi fa vedere sul cellulare che già i giornali avevano trasformato quell’abuso d’ufficio in reato di mafia e l’obbligo di dimora in carcerazione”. Pochi minuti, ma Oliverio è già “distrutto”.
Così, prosegue, “ricorro alla Cassazione, che il 20 di marzo, tre mesi dopo, annulla quel provvedimento senza rinvio, con una motivazione nettissima: si trattava di un provvedimento abnorme, un chiaro pregiudizio accusatorio. Chi era il Pm? Sto parlando della Procura diretta dal Procuratore Gratteri“, chiosa Oliverio. “In 3 mesi – prosegue – si rimuove il provvedimento cautelare, ma poi c’è il rinvio a giudizio con la richiesta di 4 anni e 8 mesi. Chiedo il rito abbreviato e vengo assolto perché il fatto non sussiste, con le stesse motivazioni della Cassazione. Subito dopo, con un altro procedimento, mi viene contestato il peculato, con cui vengo assolto il 10 novembre scorso. La parola ‘pregiudizio accusatorio’ presuppone una volontà che va a prescindere dai fatti. C’è un ripetersi di vicende che si concludono nel nulla”, precisa Oliverio, che si sente ovviamente penalizzato da una vicenda così forte e pesante.
E infatti, “a me hanno tagliato le gambe – rivela – e la subalternità della politica ha una responsabilità gravissima. Mi sono trovato come se fossi uno sconosciuto per il mio partito, isolato, lasciato solo, e su questo mi interrogo: se c’è una condizione di questo tipo che si determina è perché c’è una subalternità ma anche perché c’è qualcosa che non funziona, di malato, nel rapporto tra politica e sistema giudiziario. C’è un clima di paura e in un paese civile la paura non può essere accettata. La lotta alla criminalità, e lo dico perché provengo da un paese dove il tasso è alto, se viene condotta sollevando polveroni, operazioni a strascico, fa un piacere alla criminalità stessa. In operazioni di 300 persone, si trascinano persone per bene, si perde la fiducia”, aggiunge.
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