L’appuntamento è previsto per sabato 6 maggio, a partire dalle ore 17, nel santuario diocesano di “Maria Santissima Mamma Nostra”, presieduto da don Enzo Chiodo, che in un intervento dirà dell’arciprete quale “prete della comunione e della misteriosa solitudine”. Accoglienza dell’arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, monsignor Claudio Maniago.
“Per me vivere è Cristo”. Era questo il suo motto, il più luminoso che di lui si potesse dare, di lui che era “prete-prete”, secondo la mirabile definizione di monsignor Antonio Cantisani, vescovo della diocesi di Catanzaro-Squillace dove Sua Eccellenza lo volle esattamente quarantanni fa, nel settembre 1983, dopo ben ventisette anni di ministero sacerdotale in quel di Stilo: parliamo di monsignor Domenico Lorenti, per tutti “l’arciprete” particolarmente nell’anzidetta “Città del Sole”, che nel pomeriggio di sabato prossimo, 6 maggio, verrà ricordato a Bivongi, la cittadina che gli ha dato i natali, a partire dalle ore 17, nel santuario di “Maria Santissima Mamma Nostra”.
Lo si farà nel ventennale del ritorno alla Casa del Padre di don Domenico da quel 6 maggio 2003 quando le campane delle chiese Catanzaresi, Stilesi e Bivongesi suonarono a morto per annunciare la dipartita dell’illuminato sacerdote che ancor’oggi non viene evidentemente dimenticato nella vallata dello Stilaro, ricordato piuttosto come una gran bella persona, un prete vero, autentico, “della comunione e della misteriosa solitudine”, in ossequio allo scalettato intervento della sopraccitata manifestazione da parte di don Enzo Chiodo – attualmente parroco a Bivongi e a Pazzano per la diocesi di Locri-Gerace, a tutt’oggi presieduta da monsignor Francesco Oliva – che sarà preceduto dall’accoglienza di Sua Eccellenza Monsignor Claudio Maniago, arcivescovo metropolita di Catanzaro-Squillace, ed a cui farà seguito una presentazione biografica.
Eh già, era proprio un uomo “di comunione” don Domenico, perché tendente sempre e comunque ad unire, semmai a ricongiungere laddove ci fosse stato qualche strappo, più che un intoppo, una lacerazione psicologica, amichevole, familiare: memorabili le sue uscite natalizie con Gesù Bambino, o nel tempo di Pasqua per la “benedizione delle famiglie”, con uno stuolo di chierichetti al seguito, per andare a fare visita a tutti, particolarmente a coloro che ne avevano bisogno, di ogni genere. Don Domenico era fragrante nell’essere “pane spezzato”, da mangiare nella sua interezza, un dono continuo, perpetuo, di ogni giorno, ore e ore trascorse a dialogare fino allo sfinimento anche quando nessuno poteva mai attendere una sua visita, all’insegna del principio evangelico “Non sappia la tua sinistra cosa fa la tua destra”; era anche il prete dei giovani, don Domenico, di tantissimi giovani che abbracciava con il suo largo ed avvolgente sorriso, nel florilegio di gruppi parrocchiali a “San Giorgio martire”, nel Duomo stilese ancor’oggi tristemente chiuso dopo circa un trentennio, in cui si distingueva l’Azione Cattolica all’interno della quale tanti uomini e donne ha formato e sfornato da poter dire di una vita religiosa a tutt’oggi “di rendita”, solida nella sue fondamenta generate da quegli insegnamenti.
Ma “l’arciprete” era anche e soprattutto il prete delle famiglie, di quelle che la domenica si andava a messa con tutti presenti, dal papà alla mamma passando per i ragazzi e/o bambini che…guai a mancare: bonariamente quando ti incrociava, dopo l’immancabile “Cristo regni” con il quale lo salutavi, egli sapeva redarguirti con la sua infinita dolcezza facendoti notare che avevi saltato la partecipazione alla santa messa, così come era pronto, don Domenico, a sottolineare la mancata presenza “a da duttrina”, ossia agli incontri di catechismo, una festa ogni volta che li si organizzava, culminanti nella festa di fine anno al palazzo delle Suore, zona Pastorella, sempre a Stilo, con diplomi, medaglie, l’immancabile gelato e tanti ma tanti sorrisi.
Nella più ampia e serena condivisione. Insomma quasi un uomo ed un prete d’altri tempi, per come oggi sono cambiati i tempi e la stessa Chiesa quale corpo e spirito unico unito a Cristo: un “prete santo”, don Lorenti, perché faceva benissimo ciò che aveva scelto di fare, il prete, al servizio di tutti che oggi a lui riconoscono dopo così tanto tempo la sua aura di santità, ancorché la Chiesa, per poterlo fare, ha bisogno dei miracoli, di quelli che la scienza non può “spiegare”: ma questa è tutta un’altra storia, con ogni probabilità tutta da scrivere ma per tutti gli uomini “di buona volontà” don Domenico lo è, un sant’uomo, un prete santo.