L’indagine è partita nel 2019, protraendosi per un anno e consentendo agli investigatori di ipotizzare che uno stabilimento per la lavorazione del biodiesel, da oltre dieci anni, ovvero già dal 2012, possa aver smaltito illecitamente i rifiuti speciali industriali, nella fattispecie gli scarti della lavorazione del combustibile biologico.

Per gli inquirenti un vero e proprio “inquinamento diffuso dell’ecosistema” con concentrazioni di sostanze tossiche del 90-100% finite nelle acque del torrente Turrina, nel Lametino, con la presenza, nei terreni vicini allo stabilimento, di reflui industriali con elevate soglie di concentrazione di idrocarburi pesanti ma anche di alluminioferro e manganese.

Su queste basi le fiamme gialle hanno sottoposto a controllo giudiziario la società risultata proprietaria dello stabilimento che si trova nell’area industriale della città della Piana: una misura che oltre a garantire la prosecuzione dell’attività d’impresa ed i lavoratori, ha permesso alla società di aver visto aumentare il proprio volume d’affari in modo esponenziale.

Inoltre, in un’ottica di salvaguardia ambientale, è stato anche realizzato un innovativo impianto di depurazione a servizio dello stabilimento di produzione biodiesel per il trattamento delle acque reflue.

Il progetto, realizzato sotto il controllo giudiziario e consegnato alla Regione Calabria nel 2021, per il quale è stato destinato un cospicuo capitale, ha previsto un revampig dell’impianto preesistente con il quale è stata realizzata un’unità di trattamento delle acque reflue per poter trattare giornalmente una portata di 150 metri cubi.

L’impianto è costituito da un flottatore per l’abbattimento preliminare di oli e grassi presenti nel refluo, una vasca di omogeneizzazione, una sezione biologica per l’ossidazione del carico organico presente nel refluo in forma disciolta-colloidale, da un sedimentatore per la separazione dei fanghi prodotti nella sezione biologica, da due vasche di stoccaggio separato dei fanghi provenienti dal flottatore e dal sedimentatore e da vasche per la raccolta delle acque piovane.

L’indagine ha rappresentato particolare importanza perché ha consentito di individuare almeno una delle concause dell’inquinamento nel golfo di Sant’Eufemia e si inserisce nel più ampio progetto predisposto dalla Procura della Repubblica di Lamezia che, attraverso l’istituzione di un gruppo investigativo costituito da militari della Guardia di Finanza locale, dei carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Catanzaro e della Capitaneria di Porto di Vibo Valentia, intende fronteggiare l’attuale e pervasivo fenomeno dell’inquinamento ambientale nell’area della piana.

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