Tre consigli comunali, quelli di Laureana di Borrello, Bova Marina e Gioia Tauro, tutti in provincia di Reggio Calabria, sciolti in un sol colpo dal Consiglio dei ministri per infiltrazioni mafiose e lo scrittore Mimmo Gangemi non ci sta. In un post pubblicato sul suo profilo Facebook scrive: “Il comune di Gioia Tauro sciolto. Davvero in Calabria vige lo stato di diritto? O siamo considerati degli appestati sui quali ogni sopruso, anche se incostituzionale, e’ lecito?”. Gangemi e’ una delle voci piu’ autorevoli che la Calabria, dove vive stabilmente nonostante il suo lavoro, possa vantare. Autore di successo (il suo “Giudice Meschino” ha ispirato una fiction andata in onda sulla Rai, “La signora di Ellis Island” e’ stato un vero best seller) collabora con il quotidiano “La Stampa”. Vale la pena di approfondire. “Non conosco nello specifico i fatti. Le mie sono riflessioni generiche, ma qualche perpplessita’ mi sorge. Sciolgono i consigli comunali – risponde all’Agi – ma se gli untori sono cosi’ terribili da infettare le istituzioni, perche’ sono in liberta’? Mi chiedo lo stesso riguardo ai provvedimenti di sequestro dei beni mafiosi: capita che gli untori che portano al sequestro dei beni degli infettati, siano in liberta’, c’e’ qualcosa che non funziona”. C’e’, secondo Gangemi, un ricorso troppo frequente e disinvolto ai due strumenti, “che peraltro – dice – a mio giudizio sono incostituzionali. Non basta bere un caffe’ con qualcuno per essere automaticamente un referente della ‘ndrangheta. In un piccolo centro puo’ capitare di prendere un caffe’ con un mafioso, peraltro libero di andare al bar invece di essere in carcere se e’ cosi’ terribile, non lo si puo’ impedire. C’e’ diffidenza verso la giustizia proprio per questo motivo. Io sono per la giustizia, non vorrei essere frainteso, ma dai cittadini si pretende troppo. I cittadini sono soli, lo stato e’ assente. Se ci sono casi cosi’ terribili, perche’ allora i responsabili sono liberi? So che tra le motivazion i d ello sciogliemnto di qualche comune, c’e’ stato anche un caffe’ bevuto dal sindaco con la persona in odore di ‘ndrangheta”. Nei confronti dei calabresi, insomma, c’e’ un pregiudizio di fondo. “Mi chiedo – dice Gangemi – perche’ con tutto quello che e’ emerso per il Mose a venezia o con mafia capitale a Roma, lo strumento dello scioglimento non sia stato applicato. Ci sono anche figli e figliastri tra gli stessi comuni calabresi. So di un’ammistrazione in cui un assessore e un consigliere di maggioranza sono stati arrestati in due diverse vicende eppure nulla e’ successo. Forse il sindaco ha buoni santi in paradiso”.

(AGI) Adv