Tredici latitanti italiani sono in Canada e di questi il nostro Paese stenta a ottenere l’estradizione; c’e’ quindi una nutrita serie di richieste di rogatorie, provenienti dalle procure che si occupano di ‘ndrangheta e principalmente da Reggio Calabria, relative a fenomeni criminali molto importanti. A dirlo, in audizione davanti alla Commissione parlamentare Antimafia, è stato Marco Del Gaudio, sostituto procuratore nazionale antimafia che all’interno della Direzione nazionale antimafia è il responsabile del servizio Cooperazione internazionale. Del Gaudio ha accompagnato il procuratore nazionale Franco Roberti in Antimafia dove nei giorni scorsi si e’ svolta un’audizione su una missione della Dna in Canada. “Esprimerei un giudizio moderatamente positivo sulla nostra missione, soprattutto se confrontata con il punto di partenza, perché quando abbiamo iniziato a preoccuparci seriamente della necessità di effettuare un incontro bilaterale con i colleghi canadesi, i nostri rapporti di cooperazione bilaterale erano abbastanza problematici. Per noi è stata una priorità, perché spinti a semplificare i nostri rapporti di cooperazione sulla base delle richieste tendenzialmente provenienti dagli uffici che si occupano di ‘ndrangheta. Abbiamo poi scoperto che in realtà un grosso problema canadese è rappresentato anche dalle infiltrazioni di cosa nostra, tradizionalmente presente piu’ a Montreal che a Toronto, dove invece vi è una grossissima presenza della ‘ndrangheta”, ha detto Del Gaudio. Le difficoltà dei rapporti con il Canada sono dovute – è stato spiegato – alle differenze di ordinamento giuridico, alla percezione molto più complessa del nostro sistema di indagini, che prevede una direzione delle investigazioni da parte del pubblico ministero, figura che non esiste non in quel Paese, dove le indagini sono svolte dalla polizia giudiziaria. Ci sono poi differenze anche dal punto di vista estradizionale, problemi anche per i reati, in particolare per il nostro 416-bis, associazione mafiosa, che soltanto a certe condizioni è “esportabile” nell’ordinamento canadese.

C’è una difficoltà in Canada ad ammettere la presenza delle mafie: a dirlo è stata la presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, nel corso di una recente audizione del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Franco Roberti dedicata alla missione della Dna in Canada. Anche una piccola delegazione dell’Antimafia, guidata dalla Bindi, è stata in Canada nelle scorse settimane. “Abbiamo percepito – ha proseguito Bindi – una sorta di resistenza culturale ad ammettere la vera pericolosità delle organizzazioni mafiose in Canada, nonostante i fatti di sangue che si sono verificati in passato e che continuano a verificarsi soprattutto ad opera di cosiddette bande di motociclisti, usate come nuovo braccio armato delle organizzazioni mafiose. Ci è sembrato di cogliere una sorta di inconsapevolezza sul rischio vero che le organizzazioni mafiose rappresentano per quanto riguarda l’infiltrazione negli appalti, i giochi, il riciclaggio. Ha fatto eccezione l’incontro con il Que’bec, dove abbiamo trovato in una sorta di Authority anticorruzione il tentativo di darsi degli strumenti efficaci proprio in relazione al lavoro svolto dalla commissione Charbonneau istituita dal Parlamento del Que’bec, commissione d’inchiesta non formata da parlamentari, presieduta da un magistrato, ma voluta dalla politica”. “E’ il motivo per il quale ritengo che l’incontro più franco che abbiamo avuto sia stato quello con i nostri colleghi parlamentari, ai quali abbiamo potuto parlare in maniera molto più diretta di quanto non abbiamo potuto fare sia con il ministro che con gli altri e ci auguriamo che ci sia una sensibilizzazione della politica che produca effetti nella concretezza degli atti. Noi dovremmo anche curare i rapporti con i parlamentari di origine italiana che siedono nel Parlamento federale, proprio perché in loro potremmo trovare degli interlocutori nei quali la comprensione iniziale è tutt’altro che scontata, ma con i quali si dovrebbe usare la stessa franchezza che abbiamo usato con tutti gli altri parlamentari”, ha concluso Bindi.

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