La Corte di Cassazione ha messo il sigillo sul “cold case” dell’omicidio di Giuseppe Cartisano, avvenuto a Reggio Calabria il 22 aprile del 1988. La Suprema Corte, infatti, ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dagli avvocati di Vincenzino Zappia, accusato del delitto consumato 34 anni fa e ritenuto dalla Dda il braccio destro del boss Giuseppe De Stefano. È diventata definitiva, quindi, la condanna a 30 anni di carcere inflitta a Zappia dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria che, nel settembre 2021, aveva condiviso l’impianto accusatorio prospettato dal pm Walter Ignazitto.
Difeso dagli avvocati Gianfranco Giunta a Giancarlo Murolo, Zappia è storicamente indicato dai pentiti come uno dei principali killer della seconda guerra di mafia che insanguinò la città dello Stretto tra il 1985 ed il 1991. L’omicidio di Cartisano avvenne nella centralissima piazza De Nava e rappresentò, secondo l’accusa, la risposta all’agguato in cui fu ucciso il boss destefaniano Carmelo Cannizzaro. Durante la fuga, ci fu un conflitto a fuoco tra i carabinieri e i due sicari. Uno di questi, Luciano Pellicanò, fu ucciso, mentre Zappia rimase ferito lasciando tracce ematiche sull’asfalto. Tracce che all’epoca non consentirono agli inquirenti di risalire al killer ma che furono conservate nell’archivio della Procura.
Adesso, gli accertamenti tecnici su quel liquido ematico si sono rivelati fondamentali per la Dda di Reggio Calabria guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri. Il pm Ignazitto, infatti, ha comparato il dna trovato sulla scena del delitto con quello di Zappia riuscendo così a chiudere il cerchio sulle responsabilità nell’omicidio di Cartisano e dando un volto, quello di Vincenzino Zappia, a quel sicario a distanza di oltre 30 anni.
(ANSA)