In questi giorni a Reggio Calabria al lavoro su “Penelope” (in scena al teatro Francesco Cilea venerdì 23 febbraio), Matteo Tarasco è l’unico regista italiano a essere stato nominato Membro del Lincoln Centre Theatre Directors Lab di New York. Insignito dal Presidente della Repubblica come migliore regista emergente, ha diretto attori del calibro di Gabriele Lavia, Monica Guerritore, Laura Lattuada. La sua Penelope si distanzia dall’immaginario consueto di donna santa laica, dimessa e virtuosa,  per diventare un’originale e più genuina giovane che la straziante attesa ha prima carburato e poi incendiato. Una Penelope carnale messa in scena da Teresa Timpano in una coproduzione Scena Nuda, Festival Miti Contemporanei e Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria che mette assieme i pezzi di un amore ossessivo dentro cui affonda, ma senza cedere. Ne parliamo con il regista davanti a un caffè proprio durante una pausa delle prove di spettacolo.
Tu hai sempre indagato il Mito, restituendolo in scena con segni attuali e contemporanei. Ci racconti come fai a riconsegnare l’immortalità attraverso il teatro? 
«Sono convinto che il Mito sia contemporaneo di per sé, racconta i connotati del luogo che vive, ma non ha tempo. Né passato, né futuro; o presente. Ritrova la sua dimensione di opera aperta a seconda della necessità dell’epoca. Attraverso gli attori si incarna e si struttura trasformandosi in ciò che l’uomo è; diventando una sorta di tramite per lo spettatore che potrà incontrare se stesso.
È così che il Mito incontra anche il teatro?
«Sì, è il mattone con cui si realizza questa esperienza perché il teatro è l’unico luogo in cui l’essere umano impara a essere umano. Impara ad ascoltare la verità. Il mio lavoro e il lavoro dei teatranti, quindi, è essere testimoni di ciò che esiste e sempre esisterà».
Parlaci della tua Penelope interpretata da Teresa Timpano, in anteprima Nazionale al teatro Francesco Cilea di Reggio Calabria.
«Il mito di Penelope sarà narrato oltre che col supporto essenziale di Omero, anche grazie alle eccezionali poetiche di Ovidio, di Atwood, di Spark. Sarà una giovane donna e madre nel pieno della sua carica sensuale e in quanto tale corteggiata non certo per mero interesse. Ricordiamoci, d’altronde, che i Proci erano  principi, nobili, proprietari di terre ricche e feconde. Con questa Penelope si viaggerà all’interno di un percorso tanto mistico quanto corporeo. E dentro di lei ci sarà la storia di ognuno di noi: ci saranno i nostri rimpianti, le nostre paure, le nostre smanie. Il teatro assieme al Mito, insomma, ci ricorderà ancora una volta cosa vuol dire essere vivi e umani».