Intervista di Maria Teresa Meli, “Corriere della Sera”, 3 maggio 2020.
Senatore Matteo Renzi, al Senato ha lanciato un penultimatum?
«Era un appello. Ho chiesto a Conte di decidere. Tocca a lui, non a noi. Durante la fase 1, quella della paura, il premier ha rassicurato gli italiani. Ora siamo fuori dall’emergenza. Le terapie intensive — l’indicatore del rischio collasso ospedaliero — sono a quota 1.500 su diecimila posti disponibili. Dobbiamo allora ripartire perché ogni giorno di ritardo provoca licenziamenti e fallimenti. Ripartire in sicurezza, ma ripartire. E sono terrorizzato che ci sia una decimazione delle donne che lavorano: i figli a casa sono un problema per la società, non solo delle mamme. Qualcuno dovrà pur dirlo. Il mio appello a Conte è semplice: decidi. Se il premier sceglie il populismo, farà a meno di noi. Se sceglie la politica seria, ci saremo. Tocca a lui, non a noi decidere».
Si spieghi meglio.
«Se dici che ci sono 400 miliardi di liquidità per le imprese, poi ci devono essere davvero. Altrimenti aumenta il numero dei like su Facebook ma crolla il numero degli occupati. Sblocchiamo i cantieri fermi, che cubano oltre cento miliardi: questa è la priorità, non i Dpcm che danno ai poliziotti la verifica sui fidanzamenti. Non possiamo diventare uno stato etico dove le Faq sul sito di Palazzo Chgi spiegano chi puoi incontrare e chi no e diventano fonte normativa: è una questione sostanziale di democrazia. Vogliamo sbloccare i cantieri, non controllare le autocertificazioni. Offriamo serietà. Ma vogliamo serietà. Altrimenti ci sostituiscano: per Italia Viva i principi valgono più delle poltrone».
Il virus potrebbe tornare…
«Sì, probabilmente in autunno. E nel caso dovremo essere più bravi di come siamo stati a febbraio nell’isolare il singolo focolaio. Non tutta l’Italia. Dobbiamo essere pronti. Ma il fatto che esista tale rischio non può farci chiudere in casa impauriti fino al vaccino. Dobbiamo convivere con il virus. E non possiamo farci governare dalla paura».
Ma Iv non aprirà una crisi ora?
«La crisi c’è già, ma è economica, non politica. Ci sono due Italie. Chi ha un posto di lavoro sicuro, soffre gli effetti della quarantena, è preoccupato, vive con dolore. Ma va avanti perché alla fine del mese ha uno stipendio garantito. Poi ci sono milioni di italiani, commercianti, piccoli imprenditori, operai, partite Iva, professionisti che sono disperati perché sommano ai timori del virus l’angoscia dello stipendio. Iv chiede a Conte di occuparsi di loro, non di noi».
La fase 2 ha un avvio lento: è il primato della scienza sulla politica?
«Siamo al paradosso. Per anni i populisti hanno attaccato i virologi, definiti “schiavi delle lobby dei vaccini”. Oggi invece chiedono loro persino di combattere la disoccupazione o sbloccare le infrastrutture. Tra poco chiederanno a Burioni anche i numeri del Superenalotto. Io ho sempre difeso la scienza. Decidere quando e come ripartire dipende però dalla politica. Tutti gli altri Paesi riaprono prima. Ma soprattutto hanno chiuso meno di noi. In sede di verifica finale cercheremo di capire dove abbiamo sbagliato. Quello che è evidente oggi è che ogni settimana di blocco in più ci costa dieci miliardi e migliaia di disoccupati in più. Come si fa a non vedere che stiamo sbattendo contro un iceberg?».
Per lei ci sono stati strappi costituzionali?
«Questo governo è nato come risposta a Salvini che voleva i pieni poteri. Per non darglieli abbiamo accettato persino di fare l’accordo con i Cinque Stelle. Ma non è pensabile che i pieni poteri li possiamo dare a qualcun altro solo magari perché usa modi più garbati. La Costituzione non è questione di buona educazione e sulle libertà personali non si creano precedenti pericolosi: io la penso come il professor Cassese e mi stupisco del silenzio di tanti costituzionalisti. In Senato ho detto in faccia al premier che non siamo più al tempo delle costituzioni ottocentesche, con le libertà concesse dal sovrano. Basta con i Dpcm incomprensibili».
L’hanno accusata di aver «strumentalizzato» i morti di Bergamo. Come si difende?
«Contro il pregiudizio non c’è difesa. Invito ad ascoltare il discorso: non c’è alcuna strumentalizzazione come mi hanno confermato le email di tanti parenti delle vittime. Ho detto che la gente di Bergamo è gente che lavora sodo, che non molla mai, che merita di essere onorata ripartendo. Tuttavia se qualcuno si è sentito offeso, me ne dolgo. Sandro Pertini dopo il terremoto in Irpinia disse che “il miglior modo per onorare i morti è pensare ai vivi”. Non sono Pertini, ma la penso esattamente così. Poi se vogliamo rispettare i trentamila morti facciamo una vera commissione di inchiesta e capiamo chi ha sbagliato. Nel frattempo lavoriamo alla ripartenza, insieme».