R. e P.
Quella che sta per concludersi non è stata una settimana semplice per la Calabria. Sono stati dversi gli indicatori economici e sociali che ne hanno attestato il ritardo nei confronti del resto del Paese.
La Calabria, infatti, è risultata essere ancora una volta, così come attestato dai dati del ministero dell’Economia, la regione più povera d’Italia. I dati parlano chiaro e descrivono una situazione di perenne difficoltà economica che porta con se la negazione di diritti civili e sociali: la Calabria è la regione con il reddito più basso (17.160 euro).
La Svimez, poi, nel lanciare l’ennesimo e condivisibile allarme sulle ricadute civili dell’autonomia differenziata ha messo in risalto quei ritardi infrastrutturali che disegnano due Italie: una, quella del Nord, veloce e interconnessa e l’altra, quella del Sud, in eterno affanno, che si muove su binario unico e non conosce l’alta velocità e che, mentre la politica dei salotti buoni è impegnata nel dibattito sul Ponte di Messina, è costretta a fare i conti con una Strada statale 106 inadeguata, pericolosa e mortale.
Una Strada statale che, nonostante sia stata inserita nella rete europea Ten T, non riceve le giuste attenzioni da parte del Governo che ha scelto di trascurare, colpevolmente, la tratta che da Catanzaro conduce a Reggio Calabria per la quale ci sarebbe bisogno di portare a compimento un potenziamento su percorsi alternativi mentre non sono stati previsti interventi concreti di ammodernamento.
L’Italia non può far finta di niente. L’inserimento di questa arteria nella rete Ten T vuol dire che l’Unione europea ha riconosciuto il valore di questa infrastruttura, non soltanto come valore locale, non soltanto come questione nazionale ma europea, vincolando così il Governo italiano a finanziarla o cofinanziarla.
Ma non solo. La situazione risulta ancora più appesantita dai ritardi con i quali è chiamata a fare i conti la sanità calabrese, sempre a rischio infrazione, incapace di rispondere al bisogno di cure di tanti calabresi, schiacciata da un commissariamento eterno che ha prodotto solo tagli e finito per ingessare uno dei comparti, se non il comparto più importante per il nostro territorio sia dal punto di vista economico che da quello sociale. Oggi, più che mai, occorre azzerare gli sprechi delle Regioni, aumentare la percentuale di Pil da mettere sulla sanità portandola all’8%, per approntare un Piano sanitario nazionale che sappia valorizzare quelli che abbiamo definito i due assi portanti del Servizio sanitario nazionale: il personale e il territorio. Per il personale occorre procedere a un piano straordinario di assunzioni e stabilizzazioni, rinnovare i contratti e spingere sull’acceleratore della contrattazione territoriale, sapendo che occorre rendere le professioni sanitarie più attrattive per i giovani e fermare il loro esodo verso l’estero. Va parificata, poi, la condizione contrattuale dei lavoratori della sanità privata e di quelli impegnati nel terzo settore.
E’ evidente che le retribuzioni debbano essere adeguate, ma è indispensabile affrontare temi come la valorizzazione degli operatori, la loro tutela e perseguire la garanzia di condizioni di lavoro sostenibili.
Ma, soprattutto, occorrono specifiche risorse destinate alla Calabria per rimuovere gli squilibri territoriali, per migliorare l’edilizia sanitaria che è obsoleta e inadeguata. Sulla medicina del territorio, ancora, è necessario mettere a terra la mole di investimenti previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ad oggi, invece, i ritardi si stanno accumulando e, per una drammatica carenza di informazione, non sappiamo a che punto sono i progetti per la realizzazione delle case di comunità, degli ospedali di comunità e delle centrali operative territoriali. Ciò nuoce gravemente alla salute della medicina territoriale. Una sanità regionale che aspetta da troppo tempo che i quattro nuovi ospedali, promessi oltre dieci anni addietro, diventino realtà operative.
Le cittadine ed i cittadini calabresi non hanno pari dignità di accesso ai servizi e questo è inaccettabile. La Svimez, nella sua relazione presentata alla Camera, parla chiaro: “l’accelerazione impressa all’attuazione dell’articolo 116 terzo comma della Costituzione pare interferire con queste basilari questioni, pregiudicando le finalità di equità e solidarietà nazionale del federalismo”. Il problema, purtroppo, è che in Parlamento sono molti di più i sordi, quelli che si muovono con convinto spirito di cameratismo politico, quelli che non sanno dire di no ai capi corrente, di coloro che prestano attenzione a queste analisi puntuali.
Nella nostra legislazione, purtroppo, stenta a trovare riscontro il principio della perequazione e così, mentre il solco di allarga sempre di più, il nostro ceto politico di governo si affanna a sostenere il progetto di una secessione dei ricchi di finirebbe per assestare il colpo mortale alle regioni del meridione d’Italia, spezzettando la nostra nazione in tanti piccoli staterelli, consentendo alle regioni più ricche di tenere tutta per se una quota consistente di risorse che sarebbero dovute servire a colmare le diseguaglianze fra territori, rischiando di assestare il colpo del ko alla Calabria e alle altre regioni meridionali.
Mariaelena Senese
Segretario generale
Uil Calabria