Madonna della Montagna a Polsi

31 agosto – 2 settembre

L’arrivo e la permanenza al Santuario

La Madonna di Polsi (Reggio Calabria) si festeggia oggi in Aspromonte dal 31 agosto al 2 di settembre, Alcuni devoti indossano segni distintivi, abiti votivi o cappellini con una gran quantità di medagliette mariane appuntate con le spille dalla cui diversità si distinguono i percorsi religiosi compiuti nella regione e fuori. Il pellegrinaggio prevede una preparazione precedente e autonoma: ogni devoto prega nella propria casa dinanzi all’effige della Vergine della Montagna, espone l’immagine o ne porta una indosso. Una volta i pellegrini giungevano alla festa della Madonna di Polsi a piedi o a dorso di mulo impiegando una intera giornata o più giorni per concludere il viaggio, oggi la località si raggiunge in auto o in camion e solo l’ultimo tratto si percorre a piedi. Sono circa cinquanta le “carovane” che giungono al Santuario, ogni carovana raccoglie pellegrini d’un solo comune: il capo carovana apre il corteo del pellegrinaggio portando lo stendardo con l’effigie della Madonna.

Un tempo, lungo il percorso del pellegrinaggio, illuminato da torce fatte di steli di verbasco o tassobarbasso, si raccoglievano pietre che venivano portate in spalla o sul capo in segno di devozione, ma anche col significato pratico di trasportare materiale da costruzione per l’edificazione del Convento e delle abitazioni necessarie al riposo dei pellegrini dopo l’estenuante cammino.

I fedeli appena giunti a Polsi si recano in chiesa per porgere il saluto alla Vergine: alcuni percorrono ancora la navata in ginocchio intonando appassionati canti devozionali ai quali si unisce in coro la folla che gremisce la chiesa, mentre è scomparso il rito – un tempo praticato presso il santuario, e condannato dalla Chiesa fin dai primi del Novecento – di strisciare la lingua sul pavimento. Molti pellegrini invocano la Madonna ad alta voce, per sé stessi e per i parenti, soprattutto bambini, che, giunti vestiti a festa, vengono cambiati con gli abiti quotidiani, per offrire alla Madonna l’abito festivo.

Nell’area contigua al complesso monastico si leva il fumo dei fuochi con cui si arrostiscono o si cuociono le carni di capra da consumare nei lunghi momenti conviviali di permanenza nella valle di Polsi. Fino a pochi anni fa, il letto del torrente, in gran parte in secca, era punteggiato da molti scanni per la macellazione campestre delle caprette, usanza abolita per la mancanza di controlli sanitari e per la violazione delle norme di tutela e di rispetto ambientale.

L’avventura del viaggio, della permanenza e del pernottamento, la reciprocità delle esigenze primarie, inducono alla condivisione del cibo e dei momenti conviviali. Come in molti altri santuari, anche qui si fa la veglia notturna in chiesa, a turno si va a visitare la Madonna e s’instaura con essa un più intimo colloquio. Fino a qualche decennio addietro era del tutto “naturale” dormire all’interno della chiesa, sui banchi e sui pavimenti ma le autorità ecclesiastiche, nel tentativo di purificare il culto da significazioni devianti e retaggi anacronistici, organizzano preghiere, canti e responsoriali notturni per invitare i fedeli alla veglia. Il pellegrinaggio consente, comunque, momenti di dormiveglia, di abbandono ad una sorta di trance: il pellegrino sperimenta l’affievolimento della coscienza, i comportamenti liberatori, anche attraverso la danza e la musica, spesso vissute come vere e proprie offerte devozionali alla Vergine.

L’aspetto fondamentale del pellegrinaggio popolare di Polsi è la sonorità oscillante tra le briose vivacità festive e le languide invocazioni di grazia alla Vergine: la musica è suonata con zampogne e tamburelli, strumenti rappresentativi della cultura agro-pastorale calabrese. Oggi la zampogna ha ceduto il posto all’organetto a due bassi, alcuni giovani portano chitarre e fisarmoniche, che non riescono però a sovrastare organetti e tamburelli. E’ scomparso lo sparo delle fucilerie, ma non mancano botti, mortaretti e fuochi d’artificio. Qualcuno fa voto di ballare o di suonare per ore ed innumerevoli gruppetti di fedeli, nelle radure circostanti il Santuario s’immergono in lunghe ore di musica ritmata sotto la guida dei “mastri del ballo” che dirigono l’entrata e l’uscita delle persone nella coreografia delle danze. Chi ha capacità canore va a cantare anche in chiesa canzoni dialettali e chiesastiche per le funzioni religiose o direttamente alla Vergine. Ogni pellegrino partecipa alla festa per chiedere grazie o disobbligarsi con la Madonna per averle già ricevute: c’è chi fa offerte in denaro, chi lascia i propri ori, chi porta grandi ceri, chi mette a disposizione le proprie capacità intellettive, organizzative e operative.

La processione

La processione percorre le poche centinaia di metri che si snodano nelle vie che attraversano i pochi edifici di Polsi raccolti intorno al santuario come un minuscolo borgo intorno ad un’abbazia. A portarla sono i confratelli pescatori di Bagnara che perpetuano il loro storico diritto, derivante forse dall’antica versione sul ritrovamento della statua in mare. L’ultimo tratto del percorso processionale è fatto di corsa e dura solo pochi minuti: i portantini bagnaroti conservano una maestria impareggiabile nel sincronismo con cui occorre condurre e far volteggiare la statua senza il minimo sobbalzo, perfettamente a piombo, ma soprattutto con eleganza coreografica e gestuale. Dal momento in cui l’immagine della Regina della Montagna viene sollevata i fedeli gridano “Viva Maria”, mentre si levano canti e scoppiano botti e mortaretti: in un tripudio di risonanze, sonorità popolari s’intrecciano a musiche di banda, canti di devoti, preghiere di fedeli e del clero, sottofondi della natura e spari di fuochi pirotecnici annunciano il culmine e la conclusione della festa.

Incomincia allora il momento di dare l’avvio ai riti di commiato. I pellegrini fanno la fila per salutare la Madonna prima della partenza, tornano davanti alla statua per confidarle, ancora una volta, le proprie preoccupazioni, sofferenze, dolori ed aspettative. Il tragitto di ritorno è ancora accompagnato dalla vergine di Polsi, dalle sue immaginette da portare ai parenti infermi o impossibilitati, dalle foto e dai video, su telefonini ed altri supporti elettronici, da rivedere, da donare. Ancora canti, suoni e balli fanno da collante alla compagnia, ma si avverte la mestizia con cui ognuno rivisita il proprio percorso di vita alla luce di quanto ha vissuto in questi giorni: ognuno rievocherà il desiderio di affrancarsi dalle negatività della vita e del tempo, ed auspicherà di partecipare al rinnovato e successivo ciclo degli eventi polsiani.

Testo: F. Ferlaino (tratto da Feste e Riti d’Italia). Adattamento a cura della Redazione

Polsi e il Santuario

Il Santuario di Polsi, nell’omonima valle situata nella prima parte della ramificazione orientale della catena montuosa dell’Aspromonte, presenta una particolarità: non si trova sulla vetta di un monte, ma nel fondo di una ripidissima vallata boscosa, in un luogo ricco di sorgenti, a 865 metri sul livello del mare, quasi su un’isola tra due corsi d’acqua in una gola chiusa da vette che raggiungono i duemila metri. Il percorso è lungo e difficile, si scende lungo pendii scoscesi e mulattiere allargate che si diramano lungo le pareti interne delle montagne, che sprofondano a circolo verso l’impervia valle. Sul fondo, al centro, nel vortice di boschi sempreverdi, di frane e precipizi, di spuntoni rocciosi, una sorta di visione restituisce l’immagine del Santuario e degli edifici canonici circostanti, incastonati su un piccolo altipiano nei pressi di un torrente fragoroso. Fino al secolo scorso esistevano solo sentieri e qualche mulattiera, usate dagli eremiti del Santuario di Polsi, per raggiungere il centro di Natile, o quello di San Luca, distante undici chilometri dalla costa. Il cammino dei pellegrini era punteggiato da una serie di segni per indicare la via da seguire: si soleva accatastare legna oppure erigere edicole in onore della Madonna, le “conicelle”, che ancora sono lì, curate dalla devozione dei fedeli.

La peculiarità architettonica del Santuario è data dalla sovrapposizione dell’attuale costruzione a quella di un convento basiliano del 1100. Tra i documenti latini, la prima menzione di S. Maria di Polsi risale al carteggio di Bonifacio VIII, databile tra il 1294 ed il 1303; nel 1478 il Santuario venne concesso in commenda a famiglie nobili locali. Iniziò la decadenza e intorno al 1500, il monastero, esente da qualsiasi autorità locale, venne abbandonato dai basiliani; soltanto a partire dal 1730, per opera del vescovo olivetano Del Tufo, il Santuario di Polsi è stato assunto, permanentemente, alla cura dell’autorità diocesana di Gerace. Del Tufo provvide alle prime riforme amministrative, cultuali e spirituali del Santuario; fece ristrutturare la chiesa, nominò il primo cappellano fisso quale legale amministratore e padre spirituale di una non meglio definita comunità laico-religiosa, forse un gruppo di eremiti di San Paolo che avrebbero curato la gestione ordinaria del monastero e organizzato la pubblica disciplina in chiesa.

La Madonna della Montagna

La Vergine di Polsi è nota come Madonna della Montagna. La leggenda narra tre episodi fondanti che sembrano voler dar conto delle identità territoriali – reggina e messinese – tradizionalmente legate a questa festa; esse hanno come base comune il rinvenimento, storicamente datato nel 1544, di una croce latina di ferro che è ancora oggi custodita presso il Santuario di Polsi.

Il primo episodio vede attore un pastore di S. Cristina d’Aspromonte – di nome Italiano – questi aveva smarrito un torello al pascolo e lo avrebbe ritrovato davanti ad una croce. La Madonna sarebbe poi apparsa al pastore chiedendogli di far sapere a tutti che desiderava che venisse costruita una chiesa in quel luogo.

Il secondo episodio ha per protagonista Ruggero il Normanno re di Sicilia il quale, durante una battuta di caccia, sentendo latrare insistentemente i suoi cani, si accorse che puntavano un torello che, scavando, dissotterrava una croce latina di ferro.

La terza variante coinvolge nel racconto i pescatori di Bagnara che avrebbero trovato in mare la statua della Madonna della Montagna che, sparita misteriosamente durante il trasporto, sarebbe stata ritrovata sepolta nel luogo stesso di rinvenimento della croce di ferro.

La statua che si venera troneggia nella grande nicchia dell’altare maggiore del Santuario, è in tufo scolpito e dipinto – si dice – da artisti siciliani del sedicesimo secolo, sostituisce l’immagine lignea precedentemente esistente e scomparsa per trafugamento o forse per cause naturali come incendio o terremoto. La statua pesa circa otto quintali e viene rimossa dalla nicchia per l’incoronazione e la processione soltanto ogni cinquanta anni. Si tratta di una Madonna con Bambino, seduta e raffiguarata nell’atto di sorreggere con le mani il Bambino che, in piedi sulle sue ginocchia e leggermente sbilanciato all’indietro, sperimenta la ricerca dell’equilibrio ed il mantenimento della posizione verticale. La posizione infantilmente sgraziata del bimbo contrasta con la compostezza regale del corpo della Vergine dall’espressione mite e serena. Di essa è stata fatta una copia in legno, molto più leggera, da portare in processione nell’occasione annuale della festa..

Gli ex voto, le offerte – propiziatorie e di ringraziamento – restano in una sala di raccolta del convento, si tratta, per lo più, di abiti da sposa, ex voto anatomici in gesso o cera, e molti putti, ancora in cera, che rimandano alla speranza di intercessione della Vergine per gravidanze rischiose e difficili.

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