Se una persona accusa affaticamento, perdita di gusto o olfatto o anche difficoltà cardio-respiratorie a quattro settimane dall’infezione e nonostante la negatività al test, potrebbe essere affetta dal Long Covid. La lista di sintomi è molto lunga e tuttora in via di definizione. Per fare chiarezza, il Ministero della Salute ha finanziato un progetto di cui l’Iss è capofila.

Il Ministero della Salute ha deciso di finanziare un progetto per monitorare gli effetti a lungo termine dell’infezione da SARS-CoV2. Lo scopo è duplice: accrescere le conoscenze sul Long Covid e uniformare la gestione clinica a livello nazionale. “Le conoscenze sul Long Covid sono tuttora oggetto di numerose indagini e in questa prospettiva di approfondimento va inquadrato questo progetto”, ha detto Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità in occasione della presentazione del progetto durante un webinar. “L’iniziativa, lanciata dal Ministero, mira a dimensionare, riconoscere e affrontare questa condizione, attraverso l’istituzione di una rete nazionale di sorveglianza, una mappa di centri clinici collegati tra loro e capaci di condividere buone pratiche”

Brusaferro ha anche sintetizzato cosa si intende per Long Covid e quando se ne può parlare: “Ci troviamo di fronte a questa condizione se a distanza di quattro settimane dall’infezione e nonostante la negatività del test, i sintomi persistono”. Il tipo di malessere che le persone possono sperimentare non è sempre uguale. Graziano Onder, coordinatore del progetto e direttore del Dipartimento Malattie cardiovascolari, dismetaboliche e dell’invecchiamento dell’ISS, ha detto che si può trattare di stanchezza, a volte anche mentale (ovvero problemi di memoria e difficoltà a concentrarsi), perdita di olfatto e gusto, ma anche cefalea e stress insieme a difficoltà cardio-respiratorie. La lista, però, non finisce qui. Un lavoro della University of the West of Scotland citato dal Messaggero ha identificato più di 100 sintomi del Long Covid, inclusi disturbi psicologici e dermatologici. “Non è ancora chiaro se tutto ciò sia conseguenza di un danno causato ‘a monte’ dal virus contro questo o quell’organo, o dalla risposta immunitaria innescata sempre dal virus ma poi ‘deviata’ contro organi e tessuti”, ha detto Onder. Tra tutti i sintomi, l’affaticamento sembra essere quello più comune, ma gli esperti stanno cercando di fare più chiarezza anche sulla prolungata perdita dell’olfatto, in gergo tecnico “anosmia”.

Francesca Bisulli, neurologa dell’Irccs che su questo tema ha avviato uno studio, ha detto in un’intervista al Resto del Carlino che è normale non sentire odori e sapori anche dopo la guarigione. “L’assenza completa di olfatto, anosmia, di solito non va oltre i 13-14 mesi, ma a volte può rimanere una ridotta percezione dell’olfatto, chiamata iposmia, che persiste anche dopo 18-20 mesi. Alcune persone riferiscono pure la percezione distorta degli odori, parosmia: per esempio, al posto dell’aroma del caffè sentono puzza di bruciato”. Le conseguenze dell’anosmia possono essere più serie di quanto si pensi. C’è, per esempio, chi lavora con l’olfatto e a causa di questa condizione ha subito un forte contraccolpo economico. È il caso di Michele Crippa, di professione gastronomo, che la scorsa estate ha raccontato la sua esperienza a HuffPost.

Chiara Giacobbi, che fa invece la cameriera, ha parlato alla RSI di una vita grigia, senza emozioni proprio a causa dell’incapacità di sentire odori e profumi. Secondo una ricerca internazionale pubblicata sulla rivista scientifica Cell, quattro fattori aumenterebbero il rischio di Long Covid. Si tratta del livello di Rna del coronavirus all’inizio dell’infezione, della presenza di alcuni autoanticorpi, della riattivazione del virus di Epstein-Barr e della presenza del diabete di tipo 2. Nel corso di questi mesi sono però state avanzate anche altre ipotesi.

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