Il Territorio della Locride
Oltre 90 chilometri di coste, un mare pulito e pescoso, un patrimonio montano variegato, un clima unico e propizio: la natura ha donato alla nostra provincia uno degli angoli più belli del mondo.
Incastonati tra l’Aspromonte, rigoglioso nella sua natura incontaminata, ed il mitico mare Jonio, dal quale vennero i Greci, portatori della cultura, dell’arte e della grandezza dell’Ellade, si trovano i 42 comuni che compongono il territorio della Locride, appartenente alla Regione che Corrado Alvaro definì la “regione più misteriosa e inesplorata d’Italia”.
La Locride è accarezzata da una larga e bianca spiaggia che si estende lungo gli oltre 90 km di quella che viene comunemente chiamata la Costa dei Gelsomini. La pianta di gelsomino, diffusa in tutta la provincia reggina ma tipica soprattutto del territorio della Locride, dà il nome ad una delle coste più belle d’Italia, unica per continuità e bellezza. Ma la Locride non è solo mare cristallino, spiagge caraibiche e alte scogliere, infatti grazie alla presenza di uno spartiacque naturale tra Jonio e Tirreno, alcuni dei comuni che compongono l’area ricadono proprio all’interno del Parco nazionale dell’Aspromonte, parliamo di Africo, Antonimina, Bruzzano Zeffirio, Canolo, Careri, Caulonia, Ciminà, Gerace, Mammola, Platì, Sant’Agata del Bianco, Samo e San Luca. Questi borghi, che abbondano di storia e tradizione, sono la cornice di un paesaggio ricco di contrasti e, senza dubbio, unico nel suo genere.
Il territorio della Locride si caratterizza anche per le sue tradizioni, come la tradizione della ‘Ntinna, e per le sue specialità gastronomiche: un territorio così variegato non può che regalare prodotti tipici di altissima qualità, come salumi, olio e formaggi. Per conoscere le usanze di questa terra e scoprire dove assaporare i prodotti tipici, visita le sezioni dedicate all’interno della pagina cosa fare.
La Costa dei Gelsomini è anche celebre per le produzioni artigianali tra cui i tessuti realizzati a mano con i telai e le terrecotte di Gerace, la lavorazione del legno e delle pregiate pipe in radica di Serra San Bruno.
CIMINA’
La Storia
La sua fondazione risale al 1453, quando i turchi scacciarono i cristiani da Costantinopoli e dalla Turchia. Pare, infatti, che Ciminà fu fondata dagli albanesi e dai greci fuggitivi, sul declivio del monte Tre Pizzi, perché lontano dal mare, facilitando così la resistenza agli invasori saraceni. Si narra, inoltre, che i suoi antichi abitanti scelsero proprio quel posto per i suoi pascoli verdeggianti, per i campi adatti alla coltivazione del frumento e per i boschi ricchi di legname. Si sa per certo che nel 1480 apparteneva ai conti di Condojanni che l’ebbero per investitura.
Il nome di questa cittadina collinare, che conta oggi 748 abitanti, deriva dal greco kyminà, posto dove cresce il cumino, una pianta alta 30-40 cm, volgarmente chiamata ciminaia, della famiglia delle ombrellifere, i cui semi sono usati sia in cucina (soprattutto per conservare i cibi o per farne un liquore chiamato kumeel) che in medicina.
Fondata nel XIII secolo per rendere più comodo l’esistenza di coloro che lavoravano nelle campagne, Ciminà, fu prima posseduta dalla famiglia Marullo di Messina.
Tommaso, uno dei componenti della stessa ebbe da re Ferdinando il titolo di conte di Condoianni, Signore di Sant’Ilario e di Ciminà, pur essendo contemporaneamente Signore e padrone dei feudi di Careri, Bianco, Bovalino, Precacore e Bruzzano.
Il paese venne successivamente acquistato dalla famiglia Carafa di Roccella Ionica e da questa fu tenuto fino all’ebolizione dei feudi.
Fu riconosciuto luogo, ossia Università, nel Governo di Gerace, dall’Ordinamento Amministrativo disposto con legge del 19/01/1807, con l’istituzione dei circondari e dei comuni, per decreto, 4-V-1811 veniva riconosciuto comune e mantenuto nella giurisdizione di Gerace per rimanerci anche col Riordino Generale della Calabria disposto dal Borbone con la legge 1-V-1816.
Vi è una leggenda narrata dai vecchi di Canolo, che collega la fondazione del casale di Ciminà al nome di uno dei fratelli Mina, profughi della Locride durante le invasioni barbariche del X secolo.
Si narra, infatti, che Carlo Mina avrebbe fondato Canolo, Antonio Antonimina, Francesco “Cicciu in gergo” Ciminà.
La storia ricorda a Ciminà la presenza di alcune famiglie feudatarie come i Grimaldi, i Grillo e gli Squarciafico.
Le prime due di origine Genovese si trasferirono nella Locride verso la prima metà del ‘500 ed acquistarono il feudo di Gerace mentre la famiglia Squarciafico acquisto’ da Tommaso Marullo la baronia di Precacore e di Sant’Agata.
I Grillo acquistarono poi feudi e subfeudi in vari paesi dell’antica Locride ed abitarono per lungo tempo a Ciminà.
Fra le figure più illustri di questa famiglia è da ricordare il vescovo Francesco Antonio Grillo, nato a Sant’Agata nel novembre 1744 e morto nel 1804 dopo essere stato vescovo martiriano.
Comune venne dichiarato autonomo nel 1806.
Ciminà (Kymina in greco calabro) è un comune italiano di 570 abitanti della città metropolitana di Reggio Calabria.
Origini del nome
L’origine toponomastica del paese si fa risalire al greco kyminà, κύμινα, ossia luogo dove cresce in abbondanza il cumino, pianta della famiglia delle ombrellifere dalle proprietà mediche e culinarie, usata per la conservazione dei cibi e per produrre un liquore chiamato “Kumeel”.
Storia
La nascita del comune di Ciminà si fa risalire al 1453, ad opera di fuggiaschi Greci e Albanesi di religione cristiana che, scacciati da Costantinopoli da parte dei Turchi, trovarono riparo presso il “Monte dei Tre Pizzi”.
Il luogo scelto, impervio e lontano dal mare, garantiva riparo e protezione in caso di attacchi da parte di eventuali invasori. Il posto fu scelto in quanto si prestava bene alla pastorizia e all’agricoltura, specie per quanto riguarda la coltivazione del frumento, inoltre era vicino a delle foreste che potevano essere usato per la produzione di legname.
La nuova comunità non tardò ad attirare ceti feudatari, in particolare la famiglia Marullo di Messina che acquisirono dal re Ferdinando il titolo di Conti di Condojanni nel 1480 dopo aver comprato i terreni e l’investitura del centro. I Marullo oltre a Ciminà erano padroni dei feudi di altri centri vicini quali Careri, Bianco, Bovalino, Precacore e Bruzzano.
In seguito il paese venne acquistato dai Carafa di Roccella Ionica, e mantenuta da questi fino all’abolizione del feudatario nel XIX secolo. Successivamente fu riconosciuta “Università civium”, divenendo autonomo nel 1806, dal Governo di Gerace che successivamente ne acquisì la giurisdizione nel 1811, facendo parte del circondario, anche dopo il 1816 quando venne effettuato il “Riordino Generale della Calabria” disposto dai Borboni. Altre famiglie feudatarie abitarono a Ciminà, tra le quali le genovesi Grimaldi e Grillo, trasferite nella locride nel 1500 acquistando il feudo di Gerace, e gli Squarciafico, che acquistarono da Tommaso Merullo la baronia di Precacore e di Sant’Agata.