Nel territorio della Locride si raccontava che nei poderi dei monasteri basiliani, appartenenti all’ordine di S. Basilio di Neocesarea sul Ponto esisteva un biotipo di ulivo che a maturazione produceva olive candide e che era considerato sacro.
Una trentina d’anni fa, nel territorio di Ferruzzano in un’area agricola abbandonata, fu individuato dallo scrivente un ulivo dentro un’enorme siepe, che produceva olive bianche. La pianta fu osservata per circa tre anni e fu constatato che essa produceva fiori raggruppati in racemi, che si sarebbero trasformati in ulive a grappoli di tre o quattro per volta. Era necessario diffondere l’ulivo poichè si trattava di un biotipo raro, al fine di salvarlo dall’estinzione e l’indagine fu estesa anche a Bianco dove furono individuate delle piante tuttora esistenti, tra cui una non lontana dai ruderi della chiesetta bizantina di S.Mercurio, nella vigna della famiglia Sinopoli, che omette di cogliere le olive per riverenza alla sua sacralità in quanto da esse veniva ricavato l’olio santo, secondo la testimonianza del defunto Francesco Mezzatesta, che gestiva il consorzio agrario a Bianco ed era depositario delle conoscenze antiche del suo mondo agricolo ; le rare persone che posseggono un ulivo di tale tipo omettono di raccogliere le olive senza sapere il perché.
Altri riferivano che nei poderi appartenenti ai monasteri i coloni o gli affittuari non potevano raccogliere le ulive, in quanto bisognava consegnarle ai monasteri stessi che si preoccupavano di ricavare l’olio delle funzioni religiose più importanti e aggiungevano che in ogni campo appartenente alla chiesa bisognava piantare almeno una pianta di questo tipo.
La ricerca portò all’individuazione di un’altra pianta a Mammola in un campo appartenuto nel passato al monastero di San Nicodemo, mentre a Bova, città bizantina dove ancora sporadicamente qualche vecchio parla il greco, nuove informazioni arricchirono l’indagine storica.
Il defunto Bruno Casile, raffinatissimo ellenofono, raccontava che l’ulivo dalle drupe bianche veniva chiamato leucolea e che veniva piantato solo nei campi dei monasteri greco-ortodossi, perché se ne ricavasse l‘olio del Krisma, ossia quello che serviva per le unzioni dei funzionari imperiali bizantini e dei prelati; era interdetto piantarli in altri ambiti.
L’indagine fu estesa a Gerace, la città bizantina per eccellenza, dove il defunto Antonio Laganà aveva un campo di conservazione con 79 biotipi di ulivi del territorio e fu felice quando seppe della ricomparsa di quello dalle drupe bianche, che egli riteneva perso definitivamente. Volle prelevare degli innesti da un esemplare riprodotto e non ebbe la soddisfazione di vederlo in produzione perché da lì a breve morì. Raccontava che era chiamato leucocaso, ossia la bianca di Kasos, l’isola dell’Egeo da cui era originario, e serviva per produrre l’olio del Krisma, ossia dell’unzione per i designati alle alte cariche, sia civili che religiose.
Dieci anni fa Fedele Lamenza, titolare assieme alla moglie dell’azienda olivicola Pompilio nel cosentino, venne nella Locride per visitare un campo di salvataggio di viti antiche e comunicò che aveva scoperto due ulivi bianchi centenari a Saracena (Cosenza) nell’orto che era appartenuto al convento dei Cappuccini, incendiato dai Piemontesi nel 1861. L’olio era usato dai monaci per illuminare la chiesa, in quanto, bruciando, non produceva molto fumo, forse perché povero di grassi. Fortunatamente aveva innestato alcune piante, prendendo le marze dai suddetti ulivi, anticipando l’incendio che anni dopo distrusse le due piante.
Mario Clemeno , all’epoca sindaco di Placanica informò che a Titi Convento, frazione di Placanica, esistevano tre ulivi centenari che producevano drupe bianche, ma fu constatato che le olive anziché essere bianche, viravano al giallo ed erano prodotte da un ulivo appartenente ad Antonio Cavallaro.
Egli raccontava che l’ulivo del suo campo era stato innestato un centinaio di anni addietro da suo nonno che aveva recuperato l’innesto in un campo ubicato sotto il romitorio bizantino di Monte Stella, nel comune di Pazzano, quando vi si era recato per far coprire la sua asina in calore da un asino di un suo amico, restando estasiato per la qualità delle drupe.
Esse all’inizio sono gialline, ma poi a maturazione diventano colore avorio.
Secondo il racconto della moglie di Antonio, nell’anno di carica l’ulivo produce circa quaranta litri di olio chiaro e trasparente che viene utilizzato specialmente per le insalate.
Un’altra particolarità dell’ulivo di Titi è costituito dal fatto che tra le olive bianche talvolta spiccano poche drupe di un nero vellutato.
Nel dicembre 2011, pregato da Sergio Guidi dell’Arpa Emilia Romagna, assieme ai dirigenti dell’Arpacal e alla dott.essa Vanna Forconi dell’Istituto di Ricerca di ISPRA ancora lo scrivente portò inVaticano un ulivo del krisma al direttore dei Giardini Vaticani, dove fu messo a dimora, che fu consegnato nel governatorato al cardinale Sciacca.
Arricchì la ricerca il prof. Daniele Castrizio, papas greco- ortodosso a Reggio nonché numismatico presso l’università di Messina che tenne a precisare che probabilmente dalle olive bianche si ricavava l’olio da unzione, che, profumato con essenze odorose non conosciute, si trasformava in myron.
Successivamente arrivò un’altra informazione da Oppido Mamertina, l’antica Motta S. Agata dei bizantini, Castro (città amministrativa) e sede di Droungos (distretto militare) nelle Turme delle Saline, dove sporadicamente si trova ancora l’ulivo del krisma, che nel passato impreziosiva le ville signorili per la bellezza delle sue drupe, che venivano molite separatamente, ricavando un olio chiaro, quasi trasparente, usato solo per le insalate.
Nella stessa area si è indagato anche a Santa Cristina dove in un podere del giovane imprenditore Roberto Papalia, in contrada Campo esistono due piante che hanno le stesse caratteristiche, che sono chiamate stranamente “ulivi francesi “.
Dopo un ulteriore indagine, grazie a un testo regalato allo scrivente dal giovane ingegnere toscano d’origine calabrese, Cesare Scarfò si è saputo che nel Regno delle Due Sicilie,tra le quattordici varietà più importanti del Regno, veniva citata l’oliva bianca o Abicora, che dava” frutti minuti e bianchi come l’avorio, olio bianchissimo come l’acqua”.
Inoltre esiste in un monastero a Taggia un ulivo simile portato in Liguria dai crociati provenienti dalla Terrasanta, che era stato prelevato nell’isola di Casos, su cui ha discusso una tesi di laurea , Pino Baffa ,chiedendo informazioni allo scrivente sull’ulivo bianco della Locride; addirittura egli ha pensato di salvare dall’estinzione l’ulivo di Taggia costituendo un piccolo campo di conservazione.
Ancora Teresio Leoncini di Villafranca in Lunigiana, ha chiesto allo scrivente, suo amico, delle marze dell’ulivo del Krisma, che ha innestato e lo sta diffondendo in Toscana e addirittura ha offerto dei piccoli ulivi a degli estimatori dei Colli Euganei, in Veneto e ad un altro veneto, Vladimiro Rocco.
Un vivaista della provincia di Catania è venuto a Ferruzzano e ha ricavato delle marze da un ulivo di Callipari Domenico in contrada Carruso, innestato circa 25 anni addietro dallo scrivente..
Di recente su indicazione del giovane Raffaele Scali di Gioiosa Marina è stato individuato un esemplare di ulivo del Krisma nel comune di Gioiosa stessa, nella proprietà del Giudice Cento, gestita da Nicola Musolino.
Egli ha informato che l’ulivo dalle olive bianche era chiamato l’ulivo della Madonna e le sue olive per devozione non vengono mai raccolte o utilizzate.
Si fa presente che le olive sono molto delicate e che se attaccate dalle mosche olearie, cominciano a deteriorarsi e a perdere il candore. Ormai si sta allontanando il rischio di estinzione dell’ulivo in questione, grazie alla bellezza delle sue drupe ed ogni anno nell’orto della palazzina dei ferrovieri a Ferruzzano Marina giungono dei visitatori ad ammirare le olive del giovane ulivo del Krisma, innestato quasi trent’anni addietro dallo scrivente. Il suo estimatore più importante risulta il dott. Gerardo Pontecorvo ,attualmente funzionario del ministero delle politiche agricole , alimentari e forestali.
Orlando Sculli