Tratta dal sito www.ildispaccio.it articolo di Mariateresa Ripolo – È il 13 novembre 2019 quando viene ritrovato, a due giorni dalla sua improvvisa scomparsa, il corpo carbonizzato di Vincenzo Cordì, cameriere di Gioiosa Jonica. La sua macchina carbonizzata, una Fiat 16, attira l’attenzione di uomo che si trova per caso in località Scialata del comune di San Giovanni di Gerace. La versione della moglie, Susanna Brescia, che ne aveva denunciato la scomparsa proprio il giorno prima e che aveva parlato delle intenzioni suicide dell’uomo, non convince gli inquirenti che iniziano una densa attività di indagine. Saranno le prove scientifiche insieme al monitoraggio dell’attività dei soggetti sospettati a portare alla verità e alla risoluzione di «un caso che rischiava di restare irrisolto». La moglie aiutata dall’amante, Giuseppe Menniti, e dal figlio avuto dal primo matrimonio della donna, Francesco Sfara, vengono raggiunti da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere la mattina del 3 febbraio 2020.

In programma nella giornata odierna, alle 12.00, gli interrogatori di garanzia in carcere a Locri per gli indagati che saranno chiamati a rispondere all’accusa di omicidio con l’aggravante della premeditazione.

L’omicidio sarebbe avvenuto nella tarda serata dell’11 novembre 2019 tra le 22.20 e le 22.30. Poco prima l’uomo aveva fatto una sosta in un bar di Gioiosa Jonica per poi recarsi nel luogo in cui, con ogni probabilità, la donna gli aveva dato appuntamento.

Al momento del ritrovamento il cadavere, rinvenuto in posizione supina, e l’auto ritrovata con i sedili anteriori abbassati, hanno subito destato i primi sospetti.

«Un caso che si è giocato sulle prove scientifiche». A confermare pienamente una dinamica dei fatti ricostruita grazie all’intuizione degli inquirenti circa il coinvolgimento dei tre soggetti citati e l’esclusione dell’ipotesi suicidaria, ci sarebbero numerose prove. Grazie alle telecamere di videosorveglianza presenti in diversi punti del territorio circostante al ritrovamento del cadavere i Carabinieri della Compagnia di Roccella Jonica sono stati in grado di ricostruire gli spostamenti di quella notte: in particolare la telecamera di videosorveglianza di un distributore di benzina di Marina di Gioiosa avrebbe ripreso Menniti mentre riempiva di benzina la tanica rossa successivamente ritrovata durante una perquisizione. Ad incastrare i tre anche il maltempo. La notte dell’omicidio un fulmine avrebbe illuminato in una registrazione l’auto della Brescia, permettendo agli inquirenti di identificarla.

Ad avvalorare l’ipotesi del coinvolgimento dei tre ci sarebbero chiamate, messaggi e intercettazioni, oltre alle prove scientifiche e alle analisi svolte sul corpo dell’uomo e sul luogo del delitto dai Ris di Messina. Da una prima ricostruzione sembrerebbe sia stata proprio la moglie a dare alle fiamme l’uomo tramortito, probabilmente colpito con un oggetto contundente, nell’auto cosparsa di benzina: sono le sue le impronte digitali sull’accendino “antivento” ritrovato sul luogo del delitto.

Si attendono adesso i risultati dell’autopsia che dovranno chiarire se l’uomo sia morto sul colpo – colpito da un corpo contundente – oppure se fosse ancora vivo nel momento in cui gli veniva dato fuoco. Fondamentali saranno i risultati che verranno forniti dal prof. Francesco Introna circa l’analisi dei resti della vittima.

Rimane ancora avvolto da un alone di mistero il movente, che sarebbe da ricercare nei difficili rapporti familiari che Cordì intratteneva da diversi anni con la donna con la quale stava da cinque anni e con la quale aveva avuto due gemelli. Molti si chiedono se per la donna, che aveva già alle spalle un matrimonio fallito, non potesse essere più semplice lasciare l’uomo, anziché ucciderlo. I rapporti tesi e già un sospetto nei confronti della Brescia circa il tentativo di avvelenare l’uomo, il quale era stato ricoverato nel 2016 per un’intossicazione da barbiturici, potrebbero aver portato all’omicidio di Cordì, un delitto che la donna potrebbe aver premeditato addirittura da un anno.