Un servizio che mi ha visto in una realtà nuova, realtà di sofferenza, di incontro, una chiesa da campo, come direbbe Papa Francesco. Ho sempre definito l’ospedale, il confessionale della diocesi, dove chi vi giungeva dalle proprie parrocchie, osava trovare quel tempo che spesso, nella parrocchia di appartenenza, veniva tralasciato, vuoi per timore al proprio parroco, vuoi per un sistema frenetico, trovandosi a passare davanti la cappella, si osava…. In questi anni mi sono reso conto dell’importanza e del bisogno da parte della gente, per confessarsi o del semplice ascolto di persone che trovavo in lacrime davanti al Santissimo. Quanti giovani mi ponevano i loro perché, quei perché che spesso non trovavano delle risposte immediate, se non silenzi lunghi, tra singhiozzi e lacrime. Le stesse lacrime di cuori spezzati di tante mamme in cui un figlio gli era venuto a mancare. Come non ricordare la mamma di Massimiliano Carbone, le sue tante lacrime versate in questa cappella, o della mamma di Salvatore, morto prematuramente da quattro mesi a Locri, mentre lavorava col trattore per aiutare la mamma e le sorelle. Quante lacrime questa cappella ha visto, forse più degli stessi reparti. Quando il personale non riusciva a passare dalla cappella, il loro ufficio, una qualsiasi stanza, o il corridoio diventava luogo di confessione, che permetteva di sentirsi in pace e di poter lavorare con più serenità. Per molti abitanti nei pressi dell’ospedale nel sentire le campane suonare per la messa, fu una benedizione. Uomini che incontravo in giro mi dicevano, don: Domenica ho ascoltato la vostra messa mentre lavoravo in campagna, anziane immobili ad un letto e prive di poter andare a messa, per loro diventava un appuntamento importante. Si, era diventata un po’ la loro parrocchia, la mia voce entrava nelle loro case attraverso i megafoni esterni, gli stessi reparti potevano pregare e poi ricevere la comunione dalla ministra straordinaria e dal diacono. É stato un tempo proficuo a cui ho dato, e spero i suoi buoni frutti a quanti ho incontrato, forse più nella speranza, che in unzioni, in più ascolto, che presenza, più su una spalla su cui piangere, che gli stessi saluti ripetitivi da visita medica giornaliera. Ho imparato molto dall’ospedale, da chi ci lavora con dignità e nel silenzio del servizio, senza anteporre nulla e nessuno. Porterò nel cuore quel piccolo bene dato in questi anni, forse non capito, non apprezzato o semplicemente inatteso. Certamente il bene ricevuto é maggiore e per questo bene ringrazio di cuore ogni singola persona per me’ importante. Dalla direzione sanitaria, agli uffici amministrativi, all’ufficio tecnico dell’ospedale, dove ci ha visti per un hanno operativi per rendere la cappella dignitosa e accessibile. Ai tanti medici amici e fratelli, ai paramedici, infermieri, al personale delle pulizie, della cucina, alla comunità delle suore, al personale del bar di Toto’ Raschilla’, e Rocco fuda, agli amici e sempre disponibili elettricisti, al falegname sempre gentile ad ogni mia richiesta. Nel nome del Signore vi benedico e grazie per tutto il bene che avete fatto.
don Giuseppe Maria Zurzolo