«I dati rendono evidente che la ‘ndrangheta del Mandamento Ionico, unita sotto l’autorità della Provincia e del Crimine, operasse in piena sinergia, e le armi reperite da un gruppo criminale divenivano a disposizione della mafia della zona tirrenica, così come di quella jonica senza soluzione di continuità tra i clan mafiosi aderenti al maggior sodalizio già nei processi “Il Crimine” ed “Infinito” individuati».
È uno dei punti fermi della motivazione del processo di appello del filone dell’abbreviato depositata nei giorni scorsi. In 1371 pagine i giudici della Corte di appello di Reggio Calabria confermano in gran parte il quadro probatorio emerso dalle indagini coordinate dalla Procura Distrettuale antimafia di Reggio Calabria che nel luglio 2017 ha portato all’arresto di 168 persone a seguito dell’operazione eseguita dai Carabinieri del Ros sulla scia dell’operazione “Reale” e sulle dinamiche sfociate in diverse informative tra le quali “Eirene” e “Blu Notte” che coinvolgono diverse realtà territoriali provinciali reggine. Nel maxi processo che si è definito con il rito alternato su 33 imputati sono state comminate 29 condanne, seppur con pene riformate rispetto a quelle disposte dal gup distrettuale in prima battuta, e quattro assoluzioni piene.
Sul fronte dell’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso i magistrati reggini hanno riconosciuto la sussistenza dell’aggravante delle armi e, per quanto riguarda il trattamento sanzionatorio, hanno ritenuto che «ogni qual volta che sia stata raggiunta la prova piena del ruolo partecipativo degli affiliati al sodalizio ogni qual volta è emerso il loro contributo alla compagine associativa in via stabile e continuativa, non sarà possibile applicare un trattamento sanzionatorio differente a seconda di quale sia l’epoca di ultima manifestazione della adesione al sodalizio, ma dovrà per tutti applicarsi il trattamento sanzionatorio previsto all’epoca di contestazione della permanenza, essendo rimessa al singolo impugnante la dimostrazione che, già prima della propria carcerazione avvenuta per questi fatti nel 2017, egli si sia dissociato o abbia smesso di restare a disposizione della cosca per le attività del sodalizio».
La Corte d’appello di Reggio (presidente Olga Tarzia, giudici Cinzia Barillà e Francesca Di Landro), dopo circa 10 ore di camera di consiglio hanno confermato le condanne e riformato la quasi totalità delle pene.
Assolti con formula piena sono stati Pasquale Barbaro, difeso dagli avvocati Salvatore Staiano e Vincenzo Nobile, già condannato a 16 anni in primo grado; Giovanni Andrea Cuzzilla (14 anni in primo grado) difeso dall’avv. Tonino Curatola che assiste insieme all’avv. Grosso anche l’altro assolto, Lorenzo Domenico Stelitano (14 anni in primo grado).
Infine è stato mandato assolto l’avvocato Giuseppe “Pino” Mammoliti, assistito dagli avvocati Rosario Scarfò e Domenico Piccolo.
Mammoliti, avvocato del foro di Locri, già amministratore e consigliere comunale della città di Locri, era stato condannato dal gup reggino a 3 anni di reclusione per il reato di favoreggiamento aggravato, per il quale è stato assolto in quanto, si legge in sintesi nella motivazione: «analizzando le fonti di prova, reputa la Corte che sebbene sul capo del Mammoliti siano confluiti numerosi e densi sospetti di reità, degni di essere investigati e portati alla cognizione del giudice del merito, le contraddittorietà probatorie, già emerse in fase di indagine, non hanno trovato adeguato rafforzamento in questa sede». Per i 29 imputati condannati c’è la possibilità di impugnare la sentenza davanti alla Corte di Cassazione entro il termine di 45 giorni dal deposito.
Rocco Muscari- gazzettadelsud.it