Aristide Bava
SIDERNO – Quanti cittadini della Locride sono al corrente dei grandi tesori archeologici presenti sul territorio ? L’interrogative nasce spontaneo pensando soprattutto a tanti “siti” che per molti sono del tutto sconosciuti. Uno di questi luoghi, a cui certamente è stato dato poco risalto è la Grotta Caruso conosciuta anche come la ” Grotta delle Ninfe” nel sito di Locri Epizefiri. Una nostra lettrice , Elisabetta Clemente, che abita proprio in contrada Caruso di Locri, una zona archeologica dove nel 1940 l’archeologo Paolo Enrico Arias esegui’uno scavo, appunto, presso la Grotta Caruso e riporto’alla luce un il gruppo statuario in terracotta detto ” Del Cavaliere di Marafioti ” e altri reperti che attualmente si trovano nei museo di Locri Epizefiri oppure in quello di Reggio.
Elisabetta Clemente si chiede perchè questa Grotta è stata dimenticata da tutti mentre – dice – potrebbe essere inserita almeno nell’itinerario delle visite guidate turistiche che spesso vengono organizzate presso il Museo. L’idea non è peregrina e la Grotta , un luogo abbastanza mistico seppure non agevole da visitare a causa di un crollo avvenuto dopo gli scavi , potrebbe realmente costituire un bel luogo attrattivo . Secondo qualche esperto, peraltro è ritenuto l’unico ninfeo rupestre della Magna Grecia che ancora merita di essere esplorato in maniera sistematica. La scoperta di questo sito, come si diceva, avvenne nel 1940 da parte del prof. Paolo Enrico Arias, ma già un anno prima – si scopri poi – alcuni contadini avevano depredato l’area per poi rivenderne i reperti. Arias riuscì, comunque, ad esplorare bene il luogo e a riportare alla luce moltissime terrecotte votive, tra le quali testine e busti femminili, piccoli Pan, statuette di suonatori di flauto e di cetra, e modellini di grotte e fontane, testimonianza sia dell’alto livello dell’arte di Locri sia dell’attiva frequentazione del luogo. La Grotta oggi non è facilmente raggiungibile e forse anche per questo rimane sempre piena di fascino e di mistero tanto da essere considerata un piccolo Santuario del temo. Sulla base di quanto scavato e dei ritrovamenti effettuati sono state ricostruite dagli esperti, tre fasi della sua vita.
La fase più antica era l’area di culto costituita da una semplice grotta, priva di interventi architettonici, con un canale di drenaggio in terracotta (prima fase di sistemazione idraulica) che presupponeva probabilmente l’esistenza di un bacino. Si può anche intuire che nella ultima fase Grotta Caruso, dopo una seconda fase in cui si era cercato di combinare elementi artificiali e naturali, sembra essere stata caratterizzata da un intento di abbellimento del sito rupestre e una maggiore complessità architettonica arricchita da un bacino a gradoni artificiale, munito di un imponente dispositivo idrico, che poteva contenere più acqua rispetto alla soluzione che era stata adottata nella fase precedente. All’interno della grotta era invece stato collocato un blocco parallelepipedo in calcare, probabilmente utilizzato come base per una statua di culto, dietro al quale Arias ritrovò un modellino in terracotta del ninfeo. La conclusione della vita del Santuario si colloca poco dopo la metà del II sec. a.C., forse determinata da un incendio, ma il fascino di questo luogo sacro che da grotta naturale giunse a diventare un edificio interamente costruito, dotato di un portico esterno e di un bacino artificiale, rimane ancora oggi e probabilmente il sito potrebbe essere adeguatamente valorizzato.
nella foto L’ingresso di Grotta Caruso