Il vero pastore guarda oltre le apparenze

 

Questa celebrazione crismale ci vede radunati nella Chiesa cattedrale, da poco restaurata, rinnovata nelle sue linee architettoniche e corredata dei suoi principali elementi liturgici. Uno di questi, l’Evangeliario, che resterà in dotazione alla Cattedrale, richiama la Parola posta al cuore delle nostre celebrazioni liturgiche. È “il Libro della vita”, destinato al culto liturgico, che contiene il testo dei quattro Vangeli, secondo l’ordine delle pericopi che vengono proclamate nel susseguirsi dei giorni, delle domeniche e delle feste dell’anno liturgico. Il nuovo Evangeliario, unico nel suo genere realizzato dall’orafo Michele Affidato, con gli opportuni suggerimenti del direttore ufficio diocesano Beni Culturali, don Fabrizio Cotardo, sul fronte riproduce il Crocifisso (detto il Dormiente), che campeggia sull’altare della restaurata Cattedrale. Negli angoli compaiono, in quattro cammei argentei, incorniciati da una lamina d’oro, i quattro Evangelisti. Sul retro l’immagine della Basilissa in abiti imperiali bizantini, che riproduce l’icona della B.V. Kyriotissa (S. Maria del Ma(e)stro, la portatrice di Cristo), posta nel catino absidale della stessa Cattedrale.

Affidato alla ministerialità del diacono, l’Evangeliario sarà portato solennemente in processione, per il rito d’intronizzazione, salutato con il bacio da parte dei ministri e talora dei fedeli. Il Libro rende visibile ai nostri occhi e udibile alle nostre orecchie la presenza del Figlio e Verbo di Dio, che ha assunto la visibilità della nostra carne e l’udibilità delle nostre parole. La sua solenne intronizzazione ci ricorderà che tutti siamo “affidati alla Parola” (At 20, 32).

In questa Chiesa cattedrale oggi possiamo incrociare il volto della madre che ci raduna attorno all’altare e ci fa sentire partecipi al sacrificio di Gesù con l’offerta di noi stessi in un servizio di amore a favore del popolo santo di Dio. E nello stesso tempo c’invita a ridare slancio e freschezza al nostro servizio sacerdotale, avendo presente che esso è corroborato dalla consacrazione attraverso l’unzione con l’olio del sacro crisma. Un’unzione indelebile che ci rende ambasciatori di Cristo col “mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore” (Is 61, 1-2).

Portare il lieto annunzio che il Signore è con noi e per noi, “l’Alfa e l’Oméga, Colui che è, che era e che viene” (Apc 1, 8), è la missione, affidata a ciascuno di noi dal Signore che ci ha scelti, senza guardare le nostre povertà. S’è inteso servire di uomini comuni, fragili, spesso di fede vacillante, persino incostanti. Lo erano i discepoli, lo siamo anche noi. Non dimentichiamolo: abbiamo un tesoro — Cristo — “in vasi di creta” (2 Cor 4, 7-15).

“Un tesoro in vasi di creta”: ma perché questo? Chi siamo noi per essere al centro di tanta benevolenza? Risponde l’Apostolo Paolo: “Affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi”.

Il nostro essere assimilati a fragili vasi di creta dà ancor più risalto all’efficacia che viene da Dio, alla ricchezza del suo amore. Non perdiamo la consapevolezza di essere strumenti umili ed inadeguati. Essa, da una parte, ci porta ad accoglierci così come siamo ed a guardare dentro le nostre insufficienze e fallimenti e dall’altra c’invita a ridare freschezza alla quotidiana fedeltà al Signore. Sapendo riconoscere i nostri errori e le nostre miserie, si aprirà per noi la porta della misericordia. È quanto siamo chiamati a vivere in questa celebrazione crismale, confessando l’un l’altro i nostri errori e sapendo dirci con umiltà: ho peccato contro di te, non sono degno di essere tuo fratello.

Quale occasione migliore, per guardarci dentro e per guardare gli altri come fa il Signore, che non vede anzitutto il male, ma il bene. Chiamandoci al suo servizio, ha avuto uno sguardo di misericordia su ciascuno di noi e non ha dato peso ai nostri errori. Ci chiede soltanto di guardare gli altri come fa Luisiano essi sacerdoti, fedeli, praticanti e non, simpatici o antipatici, vicini o lontani, poveri, migranti, profughi. Il vero pastore guarda le persone con gli occhi di Dio. E così anche il mondo che lo circonda e quanti si sono allontanati anche per colpa sua, ovvero per decisioni improvvide e arbitrarie. Al Signore chiediamo di vedere con i suoi stessi occhi, per andare oltre le apparenze ed intuire i desideri nascosti nel cuore dei fedeli. È lo stile evangelico, proprio dei veri discepoli e dei sacerdoti animati da carità pastorale.

Desidero in questo momento così solenne richiamare una riflessione sul senso della nostra chiamata dal Messaggio per la IV Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni del santo papa Paolo VI (1967):

“Sapete che la chiamata del Signore è per i forti; è per i ribelli alla mediocrità e alla viltà della vita comoda e insignificante; è per quelli che ancora conservano il senso del Vangelo e sentono il dovere di rigenerare la vita ecclesiale pagando di persona e portando la croce?”

Vedo in queste parole l’indicazione di un percorso che vale non solo per noi sacerdoti, ma anche per i fedeli.

La prima indicazione è l’essere ribelli alla mediocrità e alla viltà della vita comoda e insignificante. Il nostro peggior nemico non sono i problemi concreti, per quanto seri e drammatici, quanto la mediocrità, la monotonia di una vita senza slanci, il contentarsi del minimo. Assolti i servizi minimi essenziali, celebrata la messa, salutati i fedeli, si chiude la porta della chiesa e si passa alle proprie ‘cose’! Non c’è più tempo per nessuno. Forse neanche per la preghiera che cadenza le ore della giornata.

Non corriamo il rischio di una vita senza infamia e senza lode, come dice il sommo poeta Dante nel III Cantico dell’Inferno, riferendosi agli “ignavi“, ossia a coloro che non hanno avuto in vita il coraggio di scegliere da che parte stare o per vigliaccheria o per semplice indifferenza o per quieto vivere.

La seconda indicazione è l’invito a conservare il senso del Vangelo, che “riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù” (EG 1). Conservare la gioia del Vangelo di fronte al “diffondersi di un disorientamento che si traduce in forme di sfiducia verso tutto quanto ci è stato trasmesso circa il senso della vita e in una scarsa disponibilità ad aderire in modo totale e senza condizioni a quanto ci è stato consegnato come rivelazione della verità profonda del nostro essere” (EG 7). Mostrare, alimentare, suscitare, custodire la gioia del Vangelo sia la nostra vera preoccupazione. È quello di cui ha bisogno la nostra gente, che spesso lamenta di non sentire dalla bocca del sacerdote parole di Vangelo.

La terza indicazione è sentire il dovere di rigenerare la vita ecclesiale, pagando di persona e portando la croce. Rigenerare la vita cristiana è recuperare energie evangeliche, ridare centralità al noi ecclesiale nell’unità con Cristo, mettendo da parte quanto ci distrae dall’unico vero bene. È vivere l’impegno missionario, sapendo che “la Chiesa non è un’organizzazione burocratica, ma una storia d’amore… Noi, uomini e donne di Chiesa, ricorda Papa Francesco, siamo in mezzo ad una storia d’amore: ognuno di noi è un anello di questa catena d’amore. E se non capiamo questo, non capiamo nulla di cosa sia la Chiesa … ma quando l’organizzazione prende il primo posto, l’amore viene giù e la Chiesa, poveretta, diventa una Ong. E questa non è la strada”.

La storia della chiesa come ‘storia di amore’! Semplice utopia? Un sogno irrealizzabile? No, è un cammino da perseguire tra le luci e le ombre della nostra storia. Un programma pastorale da declinare in tutte le sue sfaccettature.

In questo giorno, memoriale del nostro sacerdozio e dell’Eucaristia, apriamo il nostro cuore alla lode ed al ringraziamento.

Grazie, Signore, per il dono della fede e del sacerdozio, che ci unisce, e ci apre a relazioni positive e belle, rendendoci capaci di donarci e di spenderci per amore del tuo nome.

Grazie, Signore, per il dono di questi presbiteri, che, nonostante tutto, resistono alla tentazione dello scoraggiamento e del chiudersi nei propri progetti, e continuano a nutrire il sogno di un Vangelo che si fa storia.

Grazie per averci fatto dono, nell’anno scorso, di un giovane presbitero, don Gianluca Longo, che abbiamo accolto con gioia nel nostro presbiterio.

Grazie, Signore, per averci scelto a tenere desta la speranza di una vita nuova e per averci resi strumenti di perdono, pronti a pagare il costo di un amore che non è mai a basso prezzo

Grazie, perché non ci fai mancare il coraggio di rialzarci, di osare, di mettere da parte il nostro egoismo e perbenismo … Grazie perché ci ami nonostante tutto.

Perdona le nostre povertà ed infedeltà, il nostro individualismo, il riservare per noi tempo che dovremmo spendere per gli altri.

Perdona le nostre mani chiuse, le nostre spigolosità, la permalosità, l’invidia e le gelosie, il nostro girarci dall’altra parte, il far finta di non vedere.

Perdona i nostri formalismi, la religiosità vuota, il nostro predicare senza testimoniare, lo spezzare il pane della Parola e dell’Eucaristia senza farlo con i fratelli.

Perdonaci se non sempre ci lasciamo conquistare da Te, se abbiamo spento in noi l’ardore del tuo amore, se non abbiamo saputo cogliere le novità che Spirito suscita nell’oggi della nostra terra.

Ti chiediamo di concedere ai confratelli sacerdoti che hai chiamato a te il premio della vita eterna: l’eterno riposo a don Giuseppe Maria Zangari, a don Pasquale Costa, a p. Vincenzo Sibilio, a don Stefano Dason Fernando.

Sentiamo particolarmente vicini i confratelli più anziani e malati (padre Ernesto Monteleone, don Filippo Polifrone) e quanti soffrono gli acciacchi della vita, la debolezza della carne e il disagio esistenziale.

Un saluto particolare ai sacerdoti di altre diocesi che vengono in nostro aiuto in questo tempo pasquale.

A tutti voi, cari fratelli e sorelle, chiedo di pregare per me e per tutti i sacerdoti. Siamo vostri servitori e come tali vostri pastori. Nonostante i nostri limiti ed insufficienze.

Il Signore ci custodisca nel suo amore e “venga in aiuto alla nostra debolezza” (Rm 8, 26). Amen!